Review of Freemasonry



Make this site your Home Page Print this page Send Masonic E-card Subscribe News Alerts by Email RSS News Feed
PS Review of FM Search Engine:
recommend PS Review of Freemasonry

Francesco-Angioni

COMMENTO A I "SEGRETI" DI GOETHE:
viaggio iniziatico nella ricerca della morte.
del Fr. Francesco Angioni M.M.
fondatore di La Cittadella delle Libere Mura
Liberi Quaderni di Studi Muratori


Di Francesco Angioni leggi anche su PS Rivista di Massoneria:

¨ La concezione della Libera Muratoria nei Dialoghi di Lessing
¨ Accenni storico-critici del Lessing Massone.
¨ La Verità in Lessing secondo un'ermeneutica liberomuratoria
¨ Commento al Primo Dialogo di Lessing
¨ Commento al Secondo Dialogo di Lessing
¨ Commento al Terzo Dialogo di Lessing
¨ Commento al Quarto Dialogo di Lessing
¨ Commento al Quinto Dialogo di Lessing
¨ Dialogo Intorno ad una Società Visibile-Invisibile
di Johann Gottfried Herder (1774-1803)

¨ Herder e il Concetto di Humanität
¨ Verità e Libera Muratoria pensando a Lessing e ad altri Massoni
¨ Introduzione a J.W.Goethe Massone e Poeta
¨ I Segreti di Goethe
¨ Gnosticismo e Origini e Pensiero della Massoneria

Goethe soffre

 

Questo scritto, quarantaquattro ottave composte tra il 1784 e il 1785, è la narrazione in toni epici di un viaggio “intrapreso per alto comando” lungo “vie miracolose”, viaggio iniziatico di chi si affaccia sul panorama della condizione umana. È un viaggio propedeutico all’estrema condizione, carica di stupore[i] e di orrore, infatti, là, in fondo al limite dell’orizzonte il viaggiatore sa che c’è la morte.

La sviluppo narrativo è semplice: un pio e mite Bruder Marcus, Fratel Marco, arriva in un posto sperduto tra le montagne dove vive una comunità di tredici cavalieri. Al suo arrivo il pellegrino Marcus viene a sapere che il capo della comunità, Humanus, sta lasciando la comunità e il mite ed inesperto Fratel Marco è destinato a prenderne l’eredità.

Tale viaggio mette a dura prova il coraggio e lo spirito di Goethe che intuisce l’enormità del compito che si è posto. Egli sa di non essere in grado di assolverlo eppure inizialmente è entusiasta e di questo entusiasmo fa partecipi i suoi più intimi amici. Forse, inconsapevolmente, comprende che è impresa troppo difficile da fare in solitudine e tenta di coinvolgerli per avere non tanto il conforto la cui misura non è mai sufficiente a compensare lo sconforto dell’ineludibile destino, piuttosto, ciò che Goethe chiede sono ulteriori strumenti, che lui sente di non possedere, quelli necessari per affrontare il viaggio con maggiore sicurezza “su alcuni punti importanti del pensiero e del sentimento”.

Goethe padroneggia con eccelsa maestria il verso e di questo ne fa lo strumento costruito appunto con la ragione (pensiero) e la sensibilità (sentimento).  Sono questi i due tracciati sui quali Goethe sa di potersi muovere con sicurezza e che caratterizzano il suo pensiero massonico. Ciò si riflette nella scelta del verso a metrica chiusa, dando tutta l’importanza dovuta a tale ciclopica impresa. Egli intona il suo verseggiare alle sonorità e ritmicità epiche, disegnando lo scorrere dei versi con il passo lento e cadenzato del pellegrino in luoghi misteriosi. Questo viaggio alla comprensione del senso della morte ha una sua insita circolarità che Goethe esprime con la descrizione della residenza dei tredici cavalieri che ivi dimorano; è residenza chiusa, in una valletta circondata da montagne e foreste, inaccessibile. Il poeta mette a disposizione del suo viaggio le “muse” e “l’alto ingegno”, ma sa che questi non sono sufficienti. Manca qualcosa che Goethe intuisce o forse sa ma non vuol riconoscere tra i suoi strumenti. Questo qualcosa è il senso religioso dell’uomo, come confesserà nella sua lettera a Boissereé nel 1831 e che riprenderemo in seguito.

Goethe, quando scrive i Segreti è un trentacinquenne che percepisce di essere arrivato alla prima meta e d’ora innanzi potrà solo girare e tornare indietro verso l’ultimo indesiderato traguardo. Tuttavia, quest’ultima fase del viaggio è misterica, piena di arcani che il poeta-massone non riesce a cogliere e giustificare. Questa è la fase del percorso della sua vita in cui il viaggio non ha più le certezze del percorso prevedibile, solo l’estremo traguardo è noto, ma conosciuto in sé senza riuscire a scorgerne tutte le implicazioni di una rivelazione che viene a mancare. Gli arcani misteri del viaggio lo definiscono come fine a se stesso, viaggio viaggiato senza deciderne più il percorso e la meta, senza poterne eludere gli ignoti ostacoli, senza poterne spiegare il perché.

Goethe aveva fatto molte pressioni per accedere agli Alti Gradi della massoneria[ii], presumibilmente anche per trovare le risposte al mistero della morte. La connotazione di arcano del suo viaggio definisce lo stesso come viaggio iniziatico di maestranza, connotata come impresa che giustifica se stessa.

Di conseguenza il viaggio mistico alla scoperta della morte è il viaggio di perfezionamento che si esaurisce in sé, secondo la più sincera tradizione esoterica e massonica; è il viaggio senza meta, perché la vera meta è il viaggiare stesso; è la ricerca del perfezionamento, secondo Goethe, rinunciando o riconoscendo l’inconcepibilità del considerare la morte come esistenza alternativa alla vita.

È la morte il grande arcano nel pensiero goethiano, dunque è essa l’oggetto di un’indagine che non può seguire gli schemi della religione chiesastica; infatti, questa non indaga sulla morte, né la spiega, ma può solo offrire un supporto alla sua accettazione, stravolgendone il suo senso intimamente sconvolgente: il nulla dell’esistere.

Goethe, allora, ricerca altre vie: l’esoterismo ermetico, il rosacrocianesimo e, alla fine, la ragione sensibile. Quest’ultima è mirabilmente rappresentata nelle tredici figure dei cavalieri nell’eremo, tutti cavalieri esperti della vita ”delle ambasce patite, delle perdite e del premio” ed anche, con intima fusione, nella freschezza dell’innocenza, al punto di destinare come capo della comunità il pio ed umile Fratel Marco. Dunque, la ragione di Goethe è legata al senso di realtà, è la pietas dello sprovveduto ma mistico Fratel Marco.

È forse quest’accolita di eletti cavalieri il richiamo di quella elite di dotti che per Herder dovrebbe vigilare sull’operato dei governati? O forse è la stessa Massoneria, che secondo Lessing avrebbe dovuto raccogliere in sé i misteriosi valori universali che sono a fondamento dello stesso sussistere dell’umanità? Difficile dirlo, le idee di Lessing e di Herder avevano profondamente influenzato la cultura tedesca della seconda metà del ‘700  e più che mai lo stesso pensiero massonico settecentesco ed ottocentesco, ma Goethe assorbe e rielabora con sublimazione alchemica gli stimoli culturali del suo tempo[iii].

Goethe, in preda a queste irrisolvibili questioni chiede aiuto ai suoi intimi amici, al vecchio amico Herder e alla moglie di questo, a von Kuebel e all’amatissima Signora von Stein. Proprio a von Kuebel, che stimava moltissimo e che era precettore del regnante Carl August di Sachsen-Weimar, alla fine scrive l’accorata lettera con la quale nel 1785 dichiara l’impossibilità di saper continuare l’opera intrapresa: “… il progetto è troppo enorme per la mia attuale situazione”.

Goethe è oggettivamente oberato di impegni letterari, scientifici e politici, ma è evidente che la sua attuale situazione non è a questi impegni collegata, piuttosto lo è alla sua situazione morale ormai allo stremo. Egli proprio in quegli anni scopre Spinosa e dalla sua lettura scaturisce il passaggio dalla giovanile ricerca dei misteri della Natura verso una sostanziale rielaborazione della ragione. La nuova impostazione che Goethe dà dello studio della Natura ha lo scopo di elaborare una teoria che si opponga alla visione newtoniana della Natura[iv]. In quel biennio si riconcilia con Herder, con il quale legge “Le idee per una filosofia della storia”, dello stesso Herder. Goethe ne è entusiasta e la figura del vegliardo Humanus è debitrice delle concezioni herderiane.

Qualcuno[v] ha avanzato l’ipotesi che il poeta vivesse una profonda crisi per lo sconcerto e la disillusione, nei confronti della Massoneria dovuto alle acerrime diatribe tra questa e i rosacruciani tedeschi.

È innegabile che il suo sconforto di puro massone s’intrecci con il risentimento dell’essere giunto alla mezza età e che gli faccia dire: “L'uomo è così, una febbre fredda (...), Passata la trentina, un uomo è come morto”.

Ma questa forma così umanamente archetipica della morte, la vediamo meglio nel confronto tra Goethe e un altro grande del pessimismo esistenziale, il Foscolo.

Foscolo è indubbiamente debitore di Goethe. La comparazione tra "I dolori del giovane Werther" e "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" fa risaltare lo stesso ritmico percorso dello scontro tra amore e morte. Per altri versi la critica sociale esplode in ambedue anche se confluisce in difformi alvei.

Werther e Ortis sono accomunati dalla visione pessimistica della vita, distrutta nelle sue ambizioni dalla società borghese. Il senso della Natura è in loro carico di disperazione:

Dice Goethe: “quel sentimento della viva natura (…)mi si è mutato in carnefice intollerabile, in spirito tormentatore che mi insegue per ogni dove; (...) non vedo altro che un mostro il quale eternamente divora, eternamente rumina".

Risponde Foscolo come in una eco: “la natura siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi;  (...) la terra è una foresta di belve”.

Ambedue i protagonisti sono travolti dal senso meccanicistico e materialistico di una nuova visione della Natura che si va generalizzando in un’Europa che si va imborghesendo. La Natura suscita insieme senso del sublime e senso dell'orrore. All'inizio per Werther la Natura gli fa dire: "come il mio caldo cuore abbracciava ogni cosa, mi sentivo come inviato in quella dilagante pienezza, e le splendide figure dell’infinito universo si muovevano vivificanti nell’anima mia"., ma poi per lui e per Ortis la Natura diventa desolazione ed orrore. Finisce il dialogo dolore-piacere, sconforto-ebbrezza e la Natura svela all'uomo il suo aspetto catastrofico: "ciò che mi stringe il cuore è la forza distruttrice riposta nell’essenza stessa della natura; la quale non ha mai creato cosa alcuna che non sia destinata a distruggere il prossimo, a distruggere se stessa", dice Werther.

Goethe come Foscolo vorrebbe comprendere i misteri della Natura, ma, come dimostrò ne I segreti,  non ci riesce e la ragione si dimostra capace solo di evidenziare il dolore dell'esistenza, senza poter svelare i processi naturali, interpretandoli come mera insensatezza, a cui Foscolo risponde: "noi tocchiamo con mano tutte le nostre calamità ignorandone sempre il modo di ristorarle". Appare lo spettro della morte e Goethe lamenta "scena della vita sterminata ecco mi si muta nell’abisso della tomba eternamente spalancata" e Foscolo come eco: "che pace? Stanchezza, sapore di sepoltura".

Se in Goethe la visione drammatica e materialistica della Natura  è ribellione a tale stessa concezione, in Foscolo è incapacità persino di ribellione.

Molto diversa per i due è la visione politica. Goethe si ribella ai pregiudizi di una società aristocratico-feudale, senza riuscire ad apprezzare l’inetta borghesia tedesca, mentre Foscolo è travolto dalla tragedia italiana del tradimento di Napoleone e delle illusioni riposte nell'azione liberatrice dall’oppressione. Qui il nostro senso massonico viene frustrato scoprendo che Foscolo si avvia  sulla strada del nazionalismo mentre Goethe si ferma prima: i due sono distanziati da un’importante forma: Goethe è Massone e Foscolo no. Goethe comunque istintivamente si ribella dicendo "Una vita inutile è una morte anticipata" e lui non credeva la sua vita inutile.

Per Goethe il binomio Amore-Morte segna la fine dell’ottimismo dell’Aufklarung [vi]e nella morte si compie il momento dionisiaco della realizzazione della totalità umana. Egli trova nella società la sintesi dell’opposizione dialettica io-natura e fa una scelta di sudditanza politica al giovane Duca di Weimar, scelta che lo angustierà al punto di non riuscire a completare alcun progetto poetico in quegli anni, come testimonia la vicenda dell’interrotto poema I Segreti.

Nella realtà viva e concreta Goethe cerca un’altra via per la comprensione del tema della morte. Egli scrive all’amico Merck il 22 gennaio 1776 “Io sono ora partecipe di tutti gli affari della corte e dello stato e quasi non potrò più andar via, la mia posizione è assai vantaggiosa ed i ducati di Weimar e di Eisenach sempre una scena in cui provare come uno se la cava in un ruolo di mondo”. Questo è un periodo si esaltazione che potremmo definire come fase “up” di una crisi morale ed esistenziale grave. Ed infatti appena l’esaltazione viene meno egli rinuncia a completare I Segreti.

Il poemetto non è un’opera che si possa definire strettamente massonica. Però degli aspetti più elevati del pensiero massonico, è la dichiarazione. È la visione mistica del percorso massonico: la dimora dei tredici monaci-cavalieri appare come una loggia ideale, fatta di uomini, ma di uomini che in quella dimora hanno lasciato fuori i loro metalli: le ambasce patite, le perdite ed il premio. Sono uomini pienamente occupati nella loro ricerca spirituale e quindi “cavalieri”, così come cavalieri erano gli Alti Gradi dell’Ordine massonico del quale Goethe era membro. Nei sette gradi dell’Ordine di Stretta Osservanza gli ultimi quattro erano i gradi del percorso sublime dell’elevazione spirituale, della ricerca degli arcani della Natura, dell’esoterismo in chiave mistica.

Humanus, rappresenta lo stadio finale del percorso, il Monaco-Cavaliere che può andare in giro per il mondo perché il suo percorso è compiuto. Goethe inserisce in questa, che potremmo definire allegoria del percorso massonico, i due estremi dei gradi massonici. Gli estremi che si riuniscono nella stessa funzione di rappresentanti eletti dei confratelli: Humanus e Fratel Marco, il primo quale Maestro Venerabile ed il secondo quale Apprendista, rispettivamente la saggezza e l’innocenza. Mirabile sintesi poetica goethaina di Ragione e Sentimento.

Goethe è giunto alla sua maturità; le letture spinoziane lo hanno perfezionato ed ora tanto la Ragione quanto il Sentimento trovano la giusta ricomposizione ed una loro nuova definizione nella Ragione Sensibile. La Ragione non è più la Dea illuministica da guardare con diffidenza ed il Sentimento non è più la passionalità delle emozioni scatenate dello Sturm und Drang.

In questa loggia ideale goethe eleva l’Apprendista a Maestro Venerabile, riconoscendo nella semplicità e nella purezza le qualità dell’Uomo Illuminato. Gli altri dodici Cavalieri, purificati dal loro percorso, non aspirano alla carica di capo del gruppo, invece cercano la perfezione umana e la riconoscono in Fratel Marco.

Goethe, descrivendo questa loggia ideale evidentemente pensa alle logge del suo tempo e ai membri di loggia che lui conosceva; ma se fosse vissuto oggi non avrebbe cambiato di una virgola i suoi versi, osservando l’infantile ambizione agli Alti Gradi, alla carica di Venerabile di tanti massoni di forma.

Tutto il poemetto rimane nell’empireo del misticismo massonico, non c’è una sola parola che possa essere sentita come confronto con la realtà; è espressione di purezza e la purezza non si confronta con la realtà.

I suoi versi dichiarano il suo distacco dalla vita reale della massoneria, si pongono quasi come visione classicheggiante, …quasi; infatti, l’opera è ricolma di aerea sensibilità umana, al contrario di un classicismo cristallizzato nella purezza delle forme.

La tonalità epica dei versi vuol indurre il lettore ad ignorare la realtà di una Massoneria di forma e, superando un Lessing nella sua espressività migliore, non polemizza con tale Massoneria, la ignora, mostrando qui la calma olimpica di chi esprime la classicità di sostanza; egli dà quasi il messaggio ai Fratelli Massoni, che come lui aspirano all’elevazione spirituale piuttosto che alle altisonanti cariche massoniche, che possono pure continuare il loro percorso nella loggia, perché, entrando nel Tempio ed avviando i Lavori, loro sono in una dimensione superiore che li rende inalterabili alle lusinghe del potere, potendo guardare con occhio limpido l’affannarsi di chi ama vestirsi di sgargianti grembiulini, accumulandone uno sull’altro in una fantasmagoria circense ed infantile.

Si potrebbe dire di più, il Fratel Marco, nella sua purezza d’Apprendista si stupisce ma non si fa attrarre dalla visione dei fanciulli dalle belle vesti, che tengono tre fiaccole e che gioiosi appaiono per scomparire nel nulla. Li vede andar via senza dispiacere, rappresentando loro con le loro belle vesti (grembiuli sgargianti d’oro e d’argento?), con l’aspetto fascinoso (smoking da cerimonia?), con le tre fiaccole (le tre luci di loggia?). Ma ciò è visione che appare e scompare, come fantasmatica presenza che attraversa la realtà vera della loggia ideale senza contaminarla.

Al di là dei suoi problemi quotidiani che tanto l’angustiavano, si può pensare che Goethe abbia interrotto il suo poemetto perché altro non c’era da scrivere e descrivere.

Dicendo: “… il progetto è troppo enorme per la mia attuale situazione” egli ammette, sconfortato, che l’ideale è vinto dalla realtà. La loggia ideale era stata rappresentata e con essa i suoi ideali membri. Insistere, proseguire a verseggiare sarebbe stato solo un viaggio che sarebbe passato dal percorso mistico alla fantasie oniriche fini a se stesse.

All’inizio s’è detto che I Segreti è un viaggio nella condizione umana, ora si può aggiungere che quella è la condizione umana che si sublima alchemicamente in una superiore e diversa condizione, quella massonica. Il canto di Goethe è il canto del senso mistico della pura umanità, quella che lui cercava dentro la loggia.

I critici letterari cercano in Goethe l’uomo, il tedesco, il settecentesco e il poeta, ignorando il Goethe massone. Ciò fa perdere una parte importante, forse fondamentale del sentire goethiano. Egli è tanto poeta quanto massone e la riduzionistica visione del Goethe spasimante della von Stein, quasi antesignano dei personaggi holywoodiani, o del Goethe politico suo malgrado e che di ciò soffre, del Goethe oppresso da una depressione psichica che neppure il viaggiare risolve, tutto ciò dà una visione parziale se non miserevole del grande pensatore.

Certamente è vero che nei versi de I Segreti appare palese il sentire amoroso e sicuramente qualche verso fu sollecitato dall’amore verso la von Stein, ma poi, come già accennato, nella pubblicazione tali versi, nel 1789, ben quattro anni dopo l’interruzione della loro stesura, furono emendati per lasciare integro il profondo e straziante senso mistico; dunque, se di sentire amoroso si può parlare, questo è verso l’umanità e verso la Massoneria ideale alla quale lui tendeva appassionatamente.

 

Goethe canta.

 

Goethe inizia cantando “Mirabile è il canto che vi attende, udite tutti e che nessuno manchi!”; a chi si rivolge? Ai suoi lettori, che erano tanti, o piuttosto all’umanità intera e, perché no, ai suoi Fratelli Massoni? Certamente quel “voi” ha valore universale. Ma di quale universalità parliamo? Nel terzo verso l’Autore rappresenta un cammino lungo e difficile, dove lo sguardo ora è libero ora è negato: “Si snoda la via per monti e valli; / qui la vista è preclusa, altrove s’apre / e se il sentiero si perde tra le siepi / non pensate che di un error si tratti”. Sembra la descrizione della vita umana, ma in tal caso che vuol dire quel “non pensate che di un error si tratti”?

Se invece intendiamo il profondo sentire massonico di Goethe, forse l’intendere dei versi è più facile. Quella via è la via massonica, è l’oscillare tra ragione e sentimento che ancora non trovano sintesi nel “segreto massonico”; è la visione massonica di un percorso ora chiaro ora oscuro, ora rivelato ora da rivelare. È il correre della Verità che quasi afferrata sfugge. Quelle siepi rappresentano i misteri della Natura e perdersi in essi non è un errore. Questa interpretazione viene confermata dai versi che avviano la seconda stanza: “Non creda però alcuno di potere / il senso pieno posseder del canto”. Qui l’umanità non c’entra più. Il canto è rivolto ad una elite, solo alcuni possono intendere ciò che nei versi dell’Autore si cela. È allora questo un canto iniziatico e non universalmente umano. La comprensione della Natura e del Cosmo è fatta di apparenze e di misteri “e vari fiori dà la madre terra”. C’è umanità ed umanità, quella del profano che “se ne va uno con duro cipiglio” e quella dell’iniziato, “un altro rimane con lieto aspetto”. Ma tra gli iniziati, anche, ci sono differenze: “ognuno godrà a suo talento” e la Massoneria si pone come “la fonte offre l’acqua a più viandanti” e ogni iniziato berrà a suo modo.

La metafora si apre a più interpretazioni. La più semplice potrebbe essere quella di considerare come ascoltatore l’intera umanità, ma come si inserisce la metafora in tale senso universalistico col verso “ognuno godrà a suo talento”? Sembra piuttosto che il verso ribadisca i concetti espressi nei versi precedenti in cui si distinguono gli ascoltatori notando che “molti” e non tutti avranno giovamento. Goethe, chiamando la terra “madre” non fa gioco poetico, ma all’età mitica fa appello, la terra divinizzata offre fiori da cogliere, che ermeticamente non sono i prodotti naturali e spontanei, bensì sono i misteri che potranno essere colti dagli iniziati.

Torniamo un momento indietro; ora si può meglio comprendere che Goethe non si rivolge all’umanità intera ma ad una sua parte di eletti quando descriveva il percorso che Fratel Marco sta facendo. Infatti, Fratel Marco non rappresenta l’umanità, lui è il simbolo della pura innocenza e l’umanità non può essere intesa come tale. Dunque solo ad una parte di umanità Goethe canta.

Il percorso è difficile  da fare e da individuare. La vita può essere difficile da vivere, ma non da individuare, perché la vita si snoda da sola, comunque lo faccia. Il percorso allora non può essere che un percorso spirituale. Interrompiamoci un istante per dire che Goethe passò la vita a dirimere il problema della religiosità, senza mai riuscirci, pertanto, la via spirituale che Goethe immagina non è quella religiosa e di conseguenza non rimane che quella massonica.

Riprendiamo la metafora della fonte; a che fonte a che acqua Goethe si riferisce? In prima istanza potrebbe riferirsi ai propri versi, ma ciò renderebbe ben misera la spiritualità che caratterizzerebbe il viaggio. Un’altra potrebbe essere sempre quella del “viaggio” dell’uomo nella sua vita, il viaggio nella condizione umana. Ma anche questo viaggio non garantirebbe il carattere di spiritualità, infatti, non tutta l’umanità è interessata a ciò e poi darebbe quel senso di universalità che è negato dalla discriminazione che Goethe pone scegliendo chi ha “talento”. Torniamo necessariamente al viaggio iniziatico, perché solo chi ha talento può essere iniziato, in questa Loggia ideale che viene prefigurata dall’Autore. Il viaggio assume dunque l’aspetto di viaggio privato, riservato a pochi, cioè esoterico. Si potrebbe dire che Goethe guarda alla Massoneria come la fonte che “offre l’acqua”, ovvero il messaggio esoterico, a più viandanti, i massoni, che scalano il sentiero scosceso e misterioso dell’elevazione spirituale verso quel monte che domina il paesaggio della Natura incontaminata, astratta nella sua purezza. Ma anche tra gli iniziati Goethe distingue tra chi possiede maggiore o minore capacità di elevazione spirituale, infatti l’acqua disseta e ristora in diverso modo.

 

Goethe illumina

 

Compiuta la presentazione, Goethe nella terza stanza presenta il protagonista, quel Fratel Marco di cui si è prima parlato. È il personaggio centrale del canto, è un pellegrino, affaticato “da una lunga marcia / intrapresa per alto comando”. Chi è che comanda in modo supremo? Può essere un ente superiore ma può essere anche lo stesso senso di personale elevazione spirituale, come se questo senso attirasse chi lo possiede, come forza intrinseca che si manifesta estrinsecamente. La marcia può essere il cammino della vita in sé intesa od anche il cammino che porta all’iniziazione.

Fratel Marco lascia il sentiero per cercare acqua, pane ed un tetto per riposare.

Perché lascia il sentiero? Quel sentiero non è allora il percorso della vita, come ci si aspetterebbe, se può essere lasciato continuando a vivere. Sono parole quasi inavvertite queste inserite nel verso, ma Goethe sa quanto i misteri esoterici si svolgono per impercettibili segnali. Il sentiero che viene lasciato è forse quello della vita profana che un aspirante massone vuol lasciarsi dietro. Infatti, non si può percorrere un nuovo sentiero se non si lascia il vecchio. Sembra la favola della tazza piena di the che non può essere riempita di un nuovo the se prima non viene svuotata. Ed infatti Fratel Marco si volge ad un’altra direzione lungo un diverso sentiero, dominato da un monte. Ecco un altro simbolo presentatoci da Goethe: questo è il monte da scalare, evitando le rocce che intralciano un cammino altrimenti facile. Inutile spiegare il simbolismo universale del monte.

In seguito Goethe descriverà Fratel Marco che indugia davanti alla porta della dimora dei tredici cavalieri, alla pari di un bussante che attende davanti alla porta del Tempio di Loggia.

Avviandosi nel nuovo percorso, che cosa si aspetta Fratel Marco se non ciò che è puramente essenziale alla vita? Acqua, pane e un tetto per la notte La semplicità di queste aspettative chiarisce subito il senso ascetico che pervade Fratel Marco, e Goethe ci richiama alle aspettative ascetiche di chi si volge alla via massonica. Anche nel rituale d’iniziazione il Maestro Venerabile chiede al candidato se può donare del denaro. Il Candidato risponde che di ogni metallo è stato privato fuori dalla porta del Tempio e che vorrebbe ma non può; dicendo così egli ammette di essere rimasto con la sola sua essenzialità e di questa si accontenta.

È il tramonto ed il nostro pellegrino è circondato dalla natura, lui sa cosa cercare ma non sa dove trovarlo, come un Apprendista che vuole ma non sa come trovare.

A qualcuno verrebbe da chiedersi quanto c’è di Goethe, della sua condizione di uomo a metà della vita, in quel tramonto. Ma questo sarebbe rendere parziale la visione mistica di quel tramonto che cala sulla natura e sullo stanco pellegrino. Un monte gli si para innanzi e segue un sentiero difficile, “segue il sentiero che si piega / per salir aggirar deve le rocce;”, alla fine della salita di nuovo splende il sole. Ma non stava tramontando quello stesso sole? Non sarà forse un altro sole? Ben si sa che il sole è uno dei principali simboli ermetici, così come le stelle che poi Fratel Marco ammirerà. È vicino alla cima ed il suo cuore gioisce “il compenso spera trovar della fatica”. La paziente attesa dell’Apprendista è compensata dalla sua chiamata al rito dell’iniziazione, che, per prima cosa lo pone davanti ad un luogo misterioso e simbolico.

Sente un suono di campane e giunto alla cima gli si para una valle “dalle dolci linee”. Corre negli ultimi raggi di sole “verso il convento che tutto è luce”. Giunto alla porta “di quel luogo di pace / che al suo animo dona calma e speme” si ferma e prega. Mentre il sole è calato e la campana è muta, “ristà e si chiede che dire voglia il tutto”, come l’Apprendista nel Gabinetto di Riflessione, egli aspetta e riflette, chiedendosi ciò che ogni Bussante si chiede in quel momento da secoli.

Il percorso è forse finito, ma non ne siamo certi, anzi. Qualcosa risveglia in lui la gioia. Sopra al protone vede una croce, ad un primo momento la crede cristiana, ma guardando meglio essa non appare come tale; infatti, essa è avvolta da una ghirlanda di rose. Chi può aver fatto ciò? Dal centro della croce “sgorga di vita santa / un triplice raggio che da un punto muove”. Il numero tre che dall’uno procede con l’esoterica intransigenza del simbolismo ermetico.

Fratel Marco è sconcertato ma allo stesso tempo si sente confortato.

La croce con le rose è il simbolo dei Rosacroce e questo è evidente. Ciò vuol dire che quel “convento” è qualcosa di diverso e forse di più di un semplice convento. Questo allora si svela come luogo spirituale immerso in esoterica atmosfera Lì dentro si racchiudono misteri che non appartengono ad una chiesa, ad una religione, come in un primo momento Fratel Marco si aspettava, sono misteri fuori dal tempo e dalle contingenze delle religioni.

Goethe interrompe le speranze di chi vorrebbe intendere l’elevazione spirituale come sola elevazione religiosa. Egli sconcerta e lascia senza immediata risposta. Ma è importante soffermarsi sul fatto che Goethe apre la visione di una spiritualità che esiste senza appartenere ad una religione. Non è una spiritualità laica, è spiritualità esoterica pervasa di senso del sacro. L’Autore ci apre nuovi sentieri da percorrere, nuovi monti da scalare, nuove valli da attraversare, insomma un mondo diverso sul quale troneggia un simbolo che cristiano sembra, ma che è di più, che è oltre l’umana religione.

Molti hanno definito Goethe come ateo; forse, ma sicuramente un ateo saturo di senso del sacro. Questo infatti fu il suo grande travaglio. Immedesimiamoci in un uomo della fine del XVIII secolo, dove era pericoloso definirsi ateo, dove la chiesa cattolica o protestante poteva colpire duramente i non credenti; ma non è questo che conta, Goethe per quanto ribellistico fosse era comunque figlio della cultura cristiana, come tutti gli occidentali della sua epoca. Egli, guardando l’Illuminismo vedeva proporsi una visione atea e tra l’ateismo illuminista ed il cristianesimo chiesastico cercava una terza via. Da qui il suo profondo travaglio dato da un senso del sacro che lui ancora non poteva disgiungere dalla religione. La terza via era solo l’esoterismo ermetico ed il percorso massonico e questa, infatti, aveva scelto.

 

Goethe eleva

 

Finalmente, dopo essere rimasto “assorto”, Fratel Marco bussa alla porta del convento-Tempio. Le stelle stanno su e “volgono su di lui gli occhi luminosi”. Sembra veramente che Goethe descriva l’infinita volta del Tempio massonico che copre con le sue stelle i Fratelli raccolti nei loro Lavori. Le stelle sono simboli esoterici e come tali Goethe ce le mostra.

Aperta la porta, Fratel Marco viene accolto lietamente “a braccia aperte e con le mani tese”, fratello tra fratelli. Fratel Marco descrive il suo viaggio e “come da lungi / mosso lo abbiano gli ordini dall’alto”. I Fratelli che lo hanno fatto entrare sappiano che non è un giramondo colui che ha bussato, ma persona che percorre un viaggio iniziatico. “L’ascoltano assorti”, in lui vedono non solo lo sconosciuto viandante da ospitare, vedono anche “l’inviato” da onorare. Le semplici parole di Fratel Marco incantano tutti, che gli fanno ressa intorno. Ed ecco i versi di Goethe che dicono tutto su Fratel Marco:

Ciò ch’egli narra suona come verbo

di sapienza sulle labbra di fanciullo:

la franchezza e l’innocenza del suo aspetto

ne fanno un uomo che d’altro mondo viene

i Cavalieri-monaci riconoscono in lui la sapienza, la franchezza e l’innocenza di chi viene dal mondo profano, ma profano non è.

Un monaco esprime il dolore di tutti e l’oppressione che si è appena sollevata alla vista di Fratel Marco. Essi hanno perso qualcosa e sono pieni d’angustia e di paura e lo invitano a dividere la loro “ambascia”.

Il convento che sembrava luogo ameno di pace si svela per qualcosa di opposto. Essi gli svelano che il loro priore “fra breve da noi vuol prendere congedo”. Capiamo che l’angustia e la paura sono i sentimenti degli umili. Nessuno di loro si sente all’altezza di diventare priore di quel convento. Essi sono spaventati anche dal fatto che il priore che li vuol lasciare non vuole svelare né quando né come. È certamente strana questa affermazione, il priore vuole lasciare i suoi compagni ma senza dire quando e come. Forse egli aspetta qualcosa.

I Cavalieri hanno “capelli grigi” e “requie ci impose la natura stessa”. Il senso di morte affiora dalle loro parole. Il vegliardo monaco descrive se stesso e gli altri Cavalieri come uomini d’esperienza di vita “Poi che la vita di tutto ci rese edotti”, uomini che hanno lasciato il mondo per riparare in quel convento “lieti di trovare un ricetto sicuro”. Sembra che Goethe ci descriva gli ideali Maestri Muratori, pieni di esperienza di vita profana e che ora cercano altro, in una loggia ideale, sicura quindi.

Davanti al pellegrino franco e innocente essi si chiedono e chiedono a Fratel Marco: ”Chi è l’uomo? Perché dar la vita / non potrà per un essere migliore?” Essi rivelano la loro segreta ambizione, manifestata nella scelta fatta e a cui non vogliono rinunciare, l’estrema ed assoluta elevazione anche in termini sacrificali; ma temono che con la partenza del loro maestro essi dovranno sciogliere il loro santo gruppo. Domanda grande e grave: “Chi è l’uomo?”. Ma non è una domanda filosofica o religiosa, essi si chiedono, piuttosto se possono essere uomini senza donare la propria vita per assurgere ad una superiore condizione. Qui appare l’umanissimo tremor d’animo. Questo donare la vita assume le somiglianze di un atto sacrificale. Non si può essere migliori se non immolando la propria vita.

Il loro maestro si è distaccato da loro e non dice chi sarà il successore. Questo maestro ha lasciato pure l’ultimo legame con la vita umana, il legame di una vita in comunione di spiritualità con gli altri Cavalieri-monaci. Non dichiarando un successore sembra egli che stia aspettando qualcosa o qualcuno. Poi, la descrizione del loro capo si fa concitata, egli fu mirabilmente guidato dalla Provvidenza, e ogni sua parola è stata conservata per essere divulgata ai posteri. Goethe ci disegna una figura superiore, di elevata spiritualità. Lo fa descrivere alla pari di un Ercole che da fanciullino seppe strozzare un serpente e salvare la sorellina. Questa metafora ardita sembra che ci voglia far apparire il loro maestro come un semidio che uccide il male. Il vegliardo monaco continua a raccontare vicende prodigiose di cui fu partecipe il loro maestro, ma queste sono vicende sapute da altri e non per bocca del maestro stesso, che così mostra pure l’umiltà del suo animo.

Nella successiva stanza, la ventitreesima, Goethe ci pone davanti ad una figura ideale. Ritroviamo il rapporto tra Natura ed uomo che esplorerà in tante sue altre opere. L’uomo favorito dalla Natura non può che compiere “gesta egregie” e di ciò non c’è da stupirsi. Goethe immagina la figura del massone ideale che compie gesta egregie perché riconciliato con la Natura, avendola studiata e compresa come ricettacolo di misterici segreti. Ma l’impresa più importante è quella di vincere se stesso. Come vincere se stesso se non con il rapporto esoterico con la Natura? Così di lui, Humanus, campione dell’umana essenza, Goethe può dire “È lui, a sé appartiene”. Dicendo che l’uomo superiore è colui che solo a se stesso appartiene, Goethe ci parla del “libero muratore”. Infatti, per essere iniziato un uomo deve essere innanzitutto libero. Il significato di “libero” è presto chiarito “Dal poter che ogni cosa tiene avvinta / l’uomo si affranca che supera se stesso”. È il senso del potere che corrompe quello dal quale ci si deve liberare. Nella Loggia ideale si apprende a rigettare il potere e Goethe ben sapeva quanta smania di potere sussistesse nelle Logge e nelle Gran Logge, e questo anche noi oggi sappiamo e compiangiamo.

L’uomo eletto, potremmo ora dire l’illuminato, riconosce la superiorità e l’autorità di chi gli è superiore, come i Maestri al Loro Venerabile; la sua, prima che scelta, è umile bisogno alla pari del “povero orfanello” che si assoggetta per denaro.

Segue la descrizione degli umili compiti a cui il priore da giovane si assoggettò, compiti in cui poneva semplicità, sollecitudine, umiltà, solidarietà. Sembra che Goethe ci stia dando i valori che dovrebbero guidare le azioni di un Massone, nella vita civile prima ancora che in quella iniziatica; ed infatti il priore si comportò in tal modo ben prima di lasciare il mondo profano. Il padre di quel giovane che diventerà poi priore, lo sottopone ad infinite e dure prove e a tutte egli si assoggetta. Il percorso dell’Apprendista viene descritto con dovizia di metafore, ma alla fine egli ottiene il premio e viene fatto Cavaliere, con tanto di destriero e di spada. Egli ha saputo superare tutte le prove anche se al cavalierato avrebbe dovuto accedere per diritto di nascita. Pure nelle Logge possono esserci personaggi importanti, che per censo o condizione potrebbero accedere ai gradi superiori, ma Goethe ci avverte, anche loro devono superare le prove. Se egli si sofferma così tanto è perché nella realtà delle logge non ideali ciò non accadeva e non accade ancor oggi.

Tutti si apprestano alla cena e alla fine Fratel Marco chiede “una conca di fresca acqua piena”. Che cosa significa questa richiesta? L’acqua è uno degli elementi primordiali per l’alchimista, ma prima ancora l’acqua è il medium, l’assoluto catalizzatore che trasmuta la materia inerte in vita. C’è di strano che la richiesta avvenga a fine della cena. Perché ora e non prima, quasi che il desinare rispecchi le umili quanto indispensabili necessità della vita terrena e l’acqua da questa terrena condizione possa purificare.

Poi, viene condotto in una vasta sala e il Poeta-massone la descriverà “punto per punto”. Non c’è segretezza che veli l’accesso alla stanza. Goethe ci vuol dire forse che l’accesso al Tempio non è velato di segreti. E sala senza orpelli, essenziale nell’innalzarsi di una “ardita crociera”, appare come un coro con i suoi tredici scanni e leggii. Che sia un Tempio è dimostrato dal fatto che “Ci si sentiva incuorati alla preghiera / alla pace e ad un vero sodalizio”. È l’esatta descrizione del Tempio massonico, luogo sacro, di pace tra Fratelli e di fratellanza vera. La concezione araldica dell’Ordine di Stretta Osservanza appare dalla presenza di tredici scudi sopra gli scranni; infatti, in quel Ordine, ai tempi di Goethe, dal quarto al settimo grado si era cavalieri. Fratel Marco è preso dalla brama di conoscere il significato della presenza di quegli scudi e dei simboli che vi sono disegnati sopra. Ciò che lo colpisce è ritrovare quel simbolo di croce inghirlandata di rose che aveva visto sopra il portone del convento. Ancora un simbolo di sublime trascendenza, che religiosa non è. Ma non ci sono solo gli scudi; agli occhi del mite pellegrino appaiono molti e diversi strumenti di guerra. Goethe accomuna simboli araldici a simboli di cavalierato militante. Guerra a cosa, a chi, se non ai lati oscuri del mondo profano? L’alternarsi di scudi e armi appare come l’alternarsi di riquadri bianchi e neri del tappeto di loggia; il mondo profano che manifesta le sue luci ed ombre.

I cavalieri-monaci s’appressano agli scranni, pregano silenziosamente e “il labbro proferisce brevi canti / di cui si nutre l’intima lor gioia”. Poi, i frati si ritirano per il riposo e Fratel Marco rimane con pochi a contemplare la sala. Tanti simboli gli appaiono e viene informato che sarebbe bene restare per conoscere le gesta degli eroi. “Quel che è ascoso e non puoi indovinare: / mostrato ti sarà in confidenza”. Appare il “segreto” e come quello massonico è costituito di cose oscure e non subito comprensibili, ma di tutto ciò verrà informato nel vincolo del giuramento del silenzio. A Fratel Marco viene detto da un  frate-cavaliere che può prepararsi a conoscere tali segreti perché “di penetrar nel recesso mi sembri degno”. La porta del convento che gli è stata aperta è solo il primo passo, ora può accedere ad uno di grado superiore. A Fratel Marco è concesso il passaggio al superiore livello di conoscenza, concessione seguente alla verifica in lui dell’elevazione spirituale conquistata, anche se lui non ne è cosciente.

Fratel Marco fa un breve riposo “in muta cella”, luogo di superiore condizione del silenzio mistico dell’apprendista, per destarsi “ad un suon di squilla” e con un balzo si appresta alla preghiera. Allo stesso modo dei Fratelli che attendono, con concentrazione sacrale, ai Lavori di Loggia al colpo del maglietto. È ansioso ed entusiasta ma le “preci” donano al suo animo calma e dolcezza. L’entusiasmo, emozione umana, si ricompone nella condizione del superiore stato di spiritualità.

Dalla porta accostata sente che “tre volte un cavo bronzo risuona”. La percussione, ancestrale fattore primigenio della comunicazione umana si trasmuta[vii], con facile riconoscimento nei tre colpi di maglietto che risuonano nelle Logge all’apertura dei lavori nei vari gradi. Infatti non sono colpi d’orologio o di tromba, simboli d’un mondo profano; lì Fratel Marco è fuori dal tempo e dagli spazi civili e Goethe con straordinaria intuizione lascia al bronzo, al suono metaforico di un tamburo primigeno, forma primaria che determina l’essere umano come tale.

Ma egli sente anche una musica nuova che rallegra il cuore e pur nella “grave cadenza del canto” il cuore gioisce facendo venir voglia di danzare. Tale musica lo intriga e turba. Dalla finestra egli vede appressarsi l’alba tra la foschia. Nella luce che si leva impercettibile appaiono improvvisamente “tre giovani con una fiaccola nella mano che attraversano di corsa il loggiato”, tre luci nel loggiato, come le luci del Maestro Venerabile e dei due Sorveglianti nella loggia. L’aspetto è di piacevole eleganza e un cinto di rose intreccia la loro vita. Le rose ritornano per la “terza” volta. Appaiono i tre giovani tornare da una festa, dopo essersi ristorati “da una lieta fatica”. Forse, sono finiti i Lavori di Loggia e le tre figure spengono le luci, come alla chiusura dei Lavori massonici su comando del Venerabile. “Sono già lontano”.

Come già espresso altrove, “la morte assurge a valenza mitica, decretando la propria immanente irriducibilità e, paradossalmente, la propria esistenziale esemplarità del più terso contrasto tra natura e cultura. Se la cultura è necessariamente e indissolubilmente legata all’uomo, dall’atto umano del sacrificio la natura si esprime come estremo simbolo della morte senza la quale non ci sarebbe vita[viii].

Il poema s’interrompe…



NOTE



[i]perché si deve morire?” scrive Goethe in una sua lettera.

[ii] Gli Alti Gradi della Stretta Osservanza sono quelli superiori al terzo. In tutto essi sono sette: Apprendista, Compagno, Maestro, Maestro scozzese, Novizio, Templare, Cavaliere. È un’organizzazione massonica con forti richiami e simbologie al Templarismo esoterico. È in questa fascia degli Alti Gradi, dal terzo al settimo, che sarebbero riposti i segreti esoterici più nascosti.

[iii] Si rimanda a quanto in merito scritto nell’ ”Introduzione a Goethe Massone e poeta”.

[iv] Goethe protesta con Newton che considerava la luce fatta di 7 colori e quindi impura, mentre lui la credeva la perfezione.

[v] Zimmermann nel suo “La visione del mondo del giovane Goethe”.

[vi] Termine corrispondente a Illuminismo, ma nell’accezione di “rischiaramento delle menti”.

[vii] R. Needham: “Caratteri primordiali”, p. 20. Ed Medusa, 2003.

[viii] Nel mio ”Introduzione a Goethe Massone e Poeta” .



Home Page | Alphabetical Index | What is New | Freemasons World News
Research Papers | Books online | Freemasons History | Symbolism & Rituals
Saggi in Italiano | Essais en Langue Française | Monografias em Português | Planchas Masonicas en Español

| Sitemap | Privacy Policy | How to Contribute a Paper |

RSS Feed News Feed | News Alerts Subscribe News by Email

visitor/s currently on the page.