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Francesco-Angioni

INTRODUZIONE A J.W.GOETHE MASSONE E POETA
L'esoterismo massonico di Goethe
del Fr. Francesco Angioni M.M.
fondatore di La Cittadella delle Libere Mura
Liberi Quaderni di Studi Muratori


Di Francesco Angioni leggi anche su PS Rivista di Massoneria:

¨ La concezione della Libera Muratoria nei Dialoghi di Lessing
¨ Accenni storico-critici del Lessing Massone.
¨ La Verità in Lessing secondo un'ermeneutica liberomuratoria
¨ Commento al Primo Dialogo di Lessing
¨ Commento al Secondo Dialogo di Lessing
¨ Commento al Terzo Dialogo di Lessing
¨ Commento al Quarto Dialogo di Lessing
¨ Commento al Quinto Dialogo di Lessing
¨ Dialogo Intorno ad una Società Visibile-Invisibile
di Johann Gottfried Herder (1774-1803)

¨ Herder e il Concetto di Humanität
¨ Verità e Libera Muratoria pensando a Lessing e ad altri Massoni
¨ Introduzione a J.W.Goethe Massone e Poeta
¨ I Segreti di Goethe
¨ Gnosticismo e Origini e Pensiero della Massoneria

Goethe, a sedici anni entra all'università di Lipsia. Una vita studentesca alquanto sconsiderata fa sì che intorno ai diciannove anni sia colpito da una grave malattia polmonare che lo costringe ad interrompere gli studi universitari e che gli è curata da un medico paracelsiano, il misterioso dottor Metz, presentatogli da un’amica della madre, la von Klettenberg. La frequentazione con tale medico influenzerà molto la vita futura di Goethe.


Da studente, Goethe, vive con passione la crisi profonda dell’Illuminismo, partecipando alla travolgente stagione dello Sturm und Drang[i].

È quello un momento di grave crisi dell’Europa intellettuale. Le grandi speranze del pensiero illuministico vengono dissolte da un senso di distacco nei confronti del radicalismo insito negli stessi principi illuministici; la lotta di classe, della classe borghese e del popolo, incomincia a esprimersi con virulenza. La dea Ragione è troppo fredda per chi incomincia a cercare il valore dei sentimenti. Lessing è il grande illuminista tedesco del ‘700, ma anche l’ultimo illuminista tedesco massone. Herder, suo amico e corrispondente, si rivolge al senso mistico dell’Umanità, con Goethe rinnega l’illuminismo e si indirizza al mondo della Natura[ii] come espressione altra dell’essere umano. A difendere l’Illuminismo, surrettiziamente rimane più tardi Fichte.

Insomma, nell’ultimo ventennio del ‘700 l’Illuminismo boccheggia e l’intellighentia tedesca colpisce duramente l’ormai esausto e decadente pensiero illuminista. Alla Ragione s’impone la forza impetuosa dei sentimenti e questi sono la porta che apre all’esplosione degli interessi esoterici. Già questi erano ben presenti in tutta Europa ma ora sono travolgenti quali fantasmi misteriosi e fascinosi che cavalcano in giro per l’Europa. Goethe, anche sotto l’influenza del già citato medico paracelsiano, si converte all’ermetismo alchemico, dando luogo al suo periodo letterario più fecondo e creativo. Egli crea la figura mitica di Faust, in cui s’incarna l’inquietudine dell’intellettuale tedesco dell’epoca e il rifiuto delle tentazioni occultiste che stavano invadendo i salotti culturali dell’epoca, ben visitati dal famoso Cagliostro.

Ma Goethe non è un fanciullo in preda alla passione, al contrario egli conserva pur nel turbinio dei sentimenti la lucidità necessaria per rifiutare l’occultismo. Egli capisce che non è quella la via che può dare le risposte cercate a tante domande inespresse della sua gioventù. C’è una via che s’impone come espressione convincente di una ricerca esoterica che non sconfini con l’assurdità dell’occultismo e della magia; questa via è la Massoneria.

Goethe vi aderisce con entusiasmo e viene iniziato nella loggia “Anna Amalia alle tre rose”, nella notte di S. Giovanni del 1780. Gotthold Deile nel suo saggio “Goethe e la Massoneria” rileva che il poeta ha inizialmente qualche titubanza. Però si decide e scrive al Gran Maestro Jakob Friedrich von Fritsch: "Gia' da tempo ci sono state situazioni che mi avevano fatto desiderare di appartenere alla società dei massoni... mancava soltanto questo titolo per poter meglio avvicinare persone che ho imparato ad apprezzare". Diventa Apprendista. È il 23 giugno 1780 e Goethe inizia il suo percorso massonico.

Quella occasione la ritroviamo nel suo Diario, dove appare un “rettangolo” simbolo della sua loggia e la data dell’iniziazione. A questo riferimento si accompagnano due lettere inviate all’amata Charlotte von Stein. Il 24 giugno scrive “"Un piccolo regalo La attende... La cosa più sorprendente è che lo posso fare ad una sola donna, una sola volta nella mia vita". Sono i guanti bianchi che secondo antica tradizione ogni massone regala alla sua amata, simboleggiando la stima massonica per il sesso femminile. In seguito, il 23 giugno (stessa data dell’iniziazione!) 1781 passa al grado di Compagno di Mestiere e il 2 marzo 1783 è elevato al sublime grado di Maestro Muratore. Le sue insistenze, già nel 1781 al Gran Maestro per accedere ai gradi superiori e che vengono ignorate deliberando il passaggio al “semplice” grado di Compagno, finalmente trovano risposta nello stesso 1783. Però è un effimero successo, infatti il 24 giugno la loggia Amalia cessa l’attività.
Questo rimanere senza polo di riferimento probabilmente lo conduce assieme all'amico Johann Goffried Herder, che prese lo pseudonimo di Damasus Pontifex), ad affiliarsi, con  lo pseudonimo di Albaris, all’ “Ordine degli Illuminati”. Questo era un’istituzione creata nel 1776 da Adam Weishaupt, ex massone, con l’intento di combattere il dispotismo e la superstizione. Una vera e propria società segreta con intenti eversivi nei confronti del potere politico, derivante dalla Massoneria senza esserne collegata direttamente.

Lo Sturm und Drang ed ancor più la corrente di pensiero Humanitat rivendicano la creazione della “nazione” tedesca, rappresentata dall’unità della lingua. Shiller negli anni tra la fine del ‘700 ed i primi dell’ ‘800 scrive la poesia “La grandezza tedesca”, che implica la rivendicazione della Germania come “nazione culturale”, rappresentata nei valori del Bildung e dell’Humanitat. C. M. Wieland, altro esponente dell’Humanitat propugna la sostanza morale dei politici ed Herder, per suo conto, concepisce qualcosa di simile coniando il termine “arisodemokrati”, persone elette e sostenute popolarmente ma anche “aristoi”, i migliori in senso morale. Sono questi che devono governare perché possiedono un livello di umanità profondo, appunto l’Humanitat, e così potranno sviluppare nel popolo una vita politica armonica e fondata su principi morali concreti, non astratti. A questi si unisce Humboldt, il cui pensiero radicale, ma sulle radici del Bildung e della Humanitat progetta una riforma universitaria che poi si estenderà a tutta l’Europa[iii]. Tutti questi pensieri fortemente innovativi, anche in senso politico, trovano nell’Ordine degli Illuminati la loro espressione più radicale, quasi rivoluzionaria. Tale Ordine non è un partito politico ma ne prefigura gli aspetti più virulenti. Dell’affiliazione da parte di Goethe rimane un documento autografo che da poco la rivista russa "Soverscenno Secretno" ha recuperato dagli archivi della ex Unione Sovietica e che faceva parte di quelle carte che gli occupanti rastrellarono nella Germania sconfitta, e che misero nei loro magazzini. La rivista russa, impropriamente, cita la lettera come prova dell’affiliazione di Goethe alla Massoneria. In realtà essa era già stata pubblicata dal professor Gotthold Deile nel suo saggio “Goethe e la Massoneria”, gia citato, e correttamente interpretata come prova dell’affiliazione goethiana all’Ordine degli Illuminati. L’esperienza per Goethe dura poco, neppure un anno[iv]. Tuttavia l’esperienza vissuta nella loggia “Amalia” diede a Goethe la convinzione della funzione pedagogico sociale della Massoneria, anche, sicuramente, sotto l’influsso dei ben più moderati Dialoghi massonici lessinghiani. Sembra a Goethe di trovare in loggia finalmente quel ambiente di ricerca spirituale ed esoterica, purificata dalla religiosità chiesastica, al quale egli anela.Questa visione si approfondisce negli anni successivi in una proiezione sempre più idealizzata e che trova una importante espressione nell’opera “Wilhelm Meister, gli anni dell’apprendistato” (1795-1796), ove si affronta la tematica dei "misteri esoterici superiori". Attorno ala “Società dalla Torre” si sviluppano le vicende di Wilhelm Meister[v], è la società segreta di evidente ispirazione massonica il cui scopo è l’elevazione spirituale dei suoi membri, infatti, Jarno uno dei protagonisti principali considera l’occultismo ed i misteri massonici come antidoti alle sciocchezze e frivolezze dello spirito dell’epoca.
Goethe nel 1788 parte per l’Italia, fuggendo da una situazione moralmente e psicologicamente insostenibile[vi].Era entrato in politica e questa si scontrava con la realtà eversiva e confusa della Massoneria. Tutti conosciamo i suoi scritti del viaggio italiano che rasentano il sublime intellettuale e culturale dell’epoca, pochi sanno invece che Goethe è impressionato dall’Italia come paese infestato da società segrete.

Ritornando dall’Italia Goethe, che credeva di potersi riprendere dalla prostrazione morale viaggiando nella culla della classicismo, ritrova lo stesso angusto e soffocante ambiente, lo stesso marasma di dispute tra Gran Logge massoniche. La Massoneria tedesca alla fine del ‘700 è un arcipelago di Ordini ed Obbedienze tutte in disputa tra loro, è un’arena insanguinata delle dispute di ogni genere, da quella religiosa tra cattolici presenti in loggia contro i laici a quella tra scientisti ed occultisti, tra tradizionalisti e modernisti e così via.

Goethe non sa darsi ragione di queste dispute, infatti, la sua è una visione mistica e spiritualistica della Massoneria che opera sui binari della ragione. Nella Massoneria Goethe ricerca il senso del mistero, l’iniziazione come cooptazione in un ordine elitario di menti superiori, lo sviluppo spirituale dei misteri esoterici superiori che abbiamo appena citato nell’opera Wilhelm Meister.

Il Massone Poeta interpreta la situazione come politicamente pericolosa, infatti egli era uno dei più fidati consiglieri e ministro di importanti dicasteri sotto Carl August, duca di Sassonia-Weimar-Eisenach[vii].

Decide un’azione drastica. Il 6 aprile 1789 scrive a Carl August “Come lei sapeva, Jena era minacciata da una loggia... ho fatto una proposta... grazie alla quale viene dato un duro colpo a tutte le organizzazioni segrete... e' bene aprire le ostilità con buffoni e birbanti”, durissimo giudizio su una Massoneria impregnata di velleità sovversive e che aveva perso ogni valenza ideale. Rincara la dose nel 31 dicembre 1807 scrivendo riguardo a Jena “"La massoneria diventa uno Stato nello Stato... introdurla dove non c' era non e' mai consigliabile"[viii].

Chi volesse scorgere in questa documentazione una rottura da parte di Goethe con la Massoneria sbaglierebbe. Egli attacca quella che un Lessing avrebbe definito come “Massoneria di forma” in opposizione alla “Massoneria d’essenza”. Un duro colpo alla credibilità della Massoneria era appena stato dato dal cosiddetto conte di Cagliostro e dallo scandalo parigino. Goethe esplode con la sua provocatoria e accusatoria opera Il Gran Cofto, scritta tra il 1789 e il 1791; ovviamente la figura dominante è ispirata a Cagliostro, riproposto col nome di Conte di Rostro e raffigurato come l’impostore per eccellenza, colui che approfitta delle forme della Massoneria per usi illeciti. Nello stesso tempo l’opera appare come espressione della mente politica di Goethe che denuncia la ciarlataneria di certa Massoneria. Goethe anche dopo il suo riavvicinamento alla Massoneria, dopo il 1808, manderà il suo messaggio politico con l’opera Kunst und Altertum, Arte e antichità, (1814-1815) a seguito degli avvenimenti della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche[ix].

La grande delusione dei più eminenti esponenti della cultura tedesca per la fine dell’Illuminismo viene ricondotta da Goethe all’interno dell’idealità massonica, unica soluzione per il futuro dell’Europa e messa in opera in una società universale regolata da gerarchie e statuti rigorosi.
Ciò che scandalizza Goethe è il travisamento degli ideali massonici e l’uso eversivo della segretezza massonica. La matrice ideale goethiana fondata sull’esoterismo si ribella alla politicizzazione della Massoneria. La decisione politica di chiudere le logge si impose per la veemenza delle dispute massoniche che stavano mettendo in crisi la stessa stabilità politica del Ducato. Essa riflette, in ultima analisi, la concezione goethiana di un esoterismo puro, opposto al misticismo cristianizzante ed intollerante che già aveva inquinato i rapporti con gli antichi amici d’università Herder e Lavater.
Nello stesso tempo esprime la grande questione spinoziana e leibniziana della conciliazione tra libertà e necessità[x].

Egli si chiude in se stesso, coltiva gli ideali massonici ed esoterici astraendosi da ogni loro aspetto formale. Questo interiorizzarsi lo porta a scavare nel suo intimo relazionandolo ad un esoterismo in chiave mistica. Tuttavia l’esoterismo in Goethe non si fa espressione spiritualistica fine a se stessa, anzi egli lo riporta nell’alveo del pensiero massonico e delle sue idealità.
Rispetto ai giovanili entusiasmi per l’ermetismo alchemico, che sente come puro inno spiritualistico il Goethe più maturo purifica e sublima tale esoterismo proiettandosi a scavalcare l’orrore dell’arcano post-mortem. Il Faust del 1808[xi] rappresenta in maniera emblematica questo passaggio; con questa figura tragica Goethe riconduce l’esoterismo dentro la via massonica rivendicando il percorso massonico alla verità e al senso della morte come irraggiungibile con le sole armi della ragione umana. Incidentalmente si può osservare lo sprezzo per l’Illuminismo in quest’opera evidente.
Goethe è corroso dal bisogno di conoscere gli intimi ripostigli dell’esoterismo e vede gli Alti Gradimassonici come un Ordine interno alla stessa Obbedienza, ove i misteri massonici sono velati di esoterismo cabalistico, di teurgia ebraica, di fratellanza rosacrociana. La segretezza degli Alti Gradi vorrebbe celare e svelare assieme, la via ai remoti orizzonti mistici e spirituali, esattamente ciò che Goethe cerca appassionatamente[xii].

Alla realtà massonica, confusa e belligerante, si oppongono le visioni armoniose e mitiche di un Lessing o la luminosità Humanitat omnicomprensiva di un Herder ed anche la visione sentimental-razionale del Goethe. Non è casuale che Goethe militasse nell’ordine di Stretta Osservanza dove si dà una visione ermetica del segreto massonico[xiii].

La massima espressione della concezione goethiana dell’esoterismo è proprio la composizione dei Geheimnisse, i Segreti. Lo spirito rosacrociano è di tutta evidenza in questi versi di profondo anelito religioso, di senso cosmopolita e di una pura Massoneria impostata sul senso lessinghiano di tolleranza. Ciò che Goethe rifugge nella concezione cristiana della religiosità è l’aspetto pietistico e confessionale: “Giacché io non sono né un anticristiano, né un non-cristiano, bensì un deciso acristiano, sono stato assai negativamente impressionato da tuo Pilatus e altre tue cose, perché tu mi assumi una posizione eccessivamente critica contro l’antico dio e i suoi figli?”, aveva scritto a Lavater nel 1782. Come già accennato, il superamento di un giovanile pietismo rosacruciano e le letture spinoziane dell’ 1784 e 85 creano la frattura ed il passaggio ad una visione più distaccata, più razionalista della scienza mistica della Natura.

Non si creda che una concezione più razionaleggiante potesse ricondurre Goethe nelle braccia fredde e scarne dell’Illuminismo; tutt’altro, la sua è una visione razionalistica complessa e sofisticata e si fonda sullo studio della Natura per ricercarne un modello interpretativo fuori dagli schemi materialistici ed illuministici, come abbiamo visto, di un Newton; il modello goethiano è fuori dalle logiche della quantificabilità e misurabilità di una Natura devitalizzata ed amorfa.
L’interruzione nel 1785 del poemetto Segreti, nel quale aveva evidentemente riposto grandi aspettative e speranze[xiv], è dovuta a motivi di difficile interpretazione e forse bisogna prendere per sincera la sua affermazione che l’impresa era eccessiva per lui. In effetti, la definizione degli arcani segreti della Natura e del pensiero massonico rimangono il compito che egli perseguirà per tutta la vita, al punto che un anno prima di morire scrive a Boissereé (1831): “Nessun uomo si può sottrarre al sentimento religioso, però gli è impossibile elaborarlo da solo sicché o cerca o diventa un proselito. Quest’ultima modalità non è la mia, la prima l’ho portata avanti coerentemente e non ho trovato alcuna religione dall’inizio del mondo in cui mi potessi riconoscere completamente. Ma ora nei miei tardi giorni, apprendo della setta degli ipsistari, che stretti tra pagani, ebrei e cristiani, si dichiarano prontia stimare, ammirare, venerare il meglio ed il più perfetto di ciò che potessero conoscere e di adorarlo nella misura in cui ciò fosse in relazione prossima con la realtà. Cos’ da un’epoca oscura mi viene una luce lieta poiché sento che per tutta la vita ho anelato a qualificarmi come ipsistario. Ma questa non è una fatica piccola giacché come si riesce nella limitatezza della propria individualità a percepire la perfezione.

Queste sublimi parole evocano il pensiero di un Lessing che ricercava la Verità malgrado tutto, pur sapendo che essa è solo nel pensiero divino. La stessa concezione lessinghiana della tolleranza è qui illuminata da ulteriori e profondi sensi, sempre col sentimento dell’inadeguatezza dell’uomo, che pur consapevole della propria limitatezza osa aspirare alla perfezione o almeno a postularla. Se Lessing sottomette tale concepibilità alla divinità, Goethe invece la riconduce nelle mani dell’uomo, decretando così il vero ed invalicabile limen che separa Natura e Uomo dalla Divinità, intesa come cosa inconcepibile, dunque arcana. In altri termini, sembra che il vero misterioso segreto sia il concetto steso di Divinità. Di conseguenza il viaggio mistico alla scoperta della morte è il viaggio di perfezionamento, secondo la più sincera tradizione massonica, che si esaurisce in sé, ovvero che è viaggio senza meta perché la vera meta è il viaggiare stesso; è la ricerca del perfezionamento, rinunciando o riconoscendo l’inconcepibilità del considerare la morte come esistenza alternativa alla morte.

È la morte il grande arcano nel pensiero goethiano, dunque è essa l’oggetto di un’indagine che non può seguire gli schemi della religione chiesastica; infatti, questa non indaga sulla morte, né la spiega, ma offre un supporto alla sua accettazione stravolgendone il suo senso intimo, il nulla dell’esistere.
Goethe va ricercando altre vie, l’esoterismo ermetico, il rosacrocianesimo e la ragione sensibile. Quest’ultima è mirabilmente rappresentata nelle tredici figure dei cavalieri nell’eremo, tutti cavalieri esperti della vita ”delle ambasce patite, delle perdite e del premio” ed anche, con intima fusione, di profonda umiltà al punto di destinare come capo della comunità il pio ed umile Fratel Marco. Dunque la ragione di Goethe è legata al senso di realtà, è la pietas dello sprovveduto ma mistico Fratel Marco.

È forse quest’accolita di eletti cavalieri il richiamo di quella elite di dotti che per Herder dovrebbe vigilare sull’operato dei governati? O forse è la stessa Massoneria, che secondo Lessing avrebbe dovuto raccogliere in sé i misteriosi valori universali che sono a fondamento dello stesso sussistere dell’umanità? Difficile dirlo, le idee di Lessing e di Herder avevano profondamente influenzato la cultura tedesca della seconda metà del ‘700e più che mai lo stesso pensiero massonico settecentesco ed ottocentesco.

Goethe con la sua personalità complessa ed attenta alle pur minime suggestioni culturali ed intellettuali della sua epoca, non poteva non esserne influenzato e seguirli nella passione per i molti campi del sapere[xv]. Goethe tiene le distanze dal classicismo ma a ben vedere, specialmente nel suo “Le affinità elettive”, egli è un classicista nel senso più fine del termine; anche se manca dell’interpretazione “serenamente olimpica” del classicismo, il poeta accoglie le facies opposte del vissuto umano in relazione alla Natura in un’unità di drammaticità e problematicità.
Affrontando le Affinità elettive la domanda sorge spontanea: i personaggi sono davvero liberi? Che cosa essi ci svelano del rapporto fra natura e cultura, fra mito e storia?

Tanto in Werther che in Affinità elettive i personaggi sembra che agiscano sotto il dominio della necessità, operanti nel mitico. C’è in questi romanzi un senso d’ineluttabilità, per cui l’azione non corrisponde necessariamente alla decisione, per il muto richiamo della morte[xvi]. La morte assurge a valenza mitica, decretando la propria immanente irriducibilità e, paradossalmente, la propria esistenziale esemplarità del più terso contrasto tra natura e cultura. Se la cultura è necessariamente e indissolubilmente legata all’uomo, dall’atto umano del sacrificio la natura si esprime come estremo simbolo della morte senza la quale non ci sarebbe vita[xvii].

Ma questa forma quasi umanamente archetipica della morte lo vediamo meglio nel confronto tra Goethe e un altro grande del pessimismo esistenziale, il Foscolo.

Foscolo è indubbiamente debitore di Goethe. La comparazione tra "I dolori del giovane Werther" e "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" seguono lo stesso percorso dello scontro tra amore e morte. La critica sociale esplode in ambedue anche se confluisce in diversi alvei.

Werther e Ortis sono accomunati dalla visione pessimistica della vita, distrutta nelle sue ambizioni dalla società borghese. Il senso della Natura è in Goethe carico di spaventato sconcerto ed in Foscolo di netta disperazione.

Dice Goethe: “quel sentimento della viva natura (…)mi si è mutato in carnefice intollerabile, in spirito tormentatore che mi insegue per ogni dove; (...) non vedo altro che un mostro il quale eternamente divora, eternamente rumina". Risponde Foscolo come in una eco: “la natura siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi;(...) la terra è una foresta di belve”.

Ambedue i protagonisti sono travolti dal senso meccanicistico e materialistico di una nuova visione della Natura che si va generalizzando in Europa. La Natura suscita insieme senso del sublime e senso dell'orrore. All'inizio per Werther la Natura gli fa dire: "come il mio caldo cuore abbracciava ogni cosa, mi sentivo come inviato in quella dilagante pienezza, e le splendide figure dell’infinito universo si muovevano vivificanti nell’anima mia"., ma poi per lui e per Ortis la Natura diventa desolazione ed orrore. Finisce il dialogo dolore-piacere, sconforto-ebbrezza e la Natura svela all'uomo il suo aspetto catastrofico: "ciò che mi stringe il cuore è la forza distruttrice riposta nell’essenza stessa della natura; la quale non ha mai creato cosa alcuna che non sia destinata a distruggere il prossimo, a distruggere se stessa", dice Werther.

Goethe, come Foscolo, vorrebbe comprendere i misteri della Natura, ma non ci riesce e la ragione si dimostra capace solo di evidenziare il dolore dell'esistenza, senza poter svelare i processi naturali, interpretandoli come mera insensatezza: "noi tocchiamo con mano tutte le nostre calamità ignorandone sempre il modo di ristorarle" dice Foscolo.

Appare lo spettro della morte e Goethe lamenta "scena della vita sterminata ecco mi si muta nell’abisso della tomba eternamente spalancata" a cui Foscolo risponde: "che pace? Stanchezza, sapore di sepoltura".

Se in Goethe la visione drammatica e materialistica della Natura è ribellione a tale stessa concezione, in Foscolo è incapacità persino di ribellione.

Molto diversa per i due è la visione politica. Goethe si ribella ai pregiudizi di una società aristocratico-feudale, mentre Foscolo è travolto dalla tragedia italiana del tradimento di Napoleone e delle illusioni riposte nell'azione liberatrice dall'oppressione. Foscolo si avvia sulla strada del nazionalismo mentre Goethe stranamente si ferma prima. I due sono distanti per un fatto importante: Goethe è Massone mistico e Foscolo è un Massone liberale che, iniziato alla Massoneria, frequentò molte logge ove era dominante la filosofia degli Idéologues francesi, fattore d'importante formazione per il Foscolo stesso e la Massoneria ottocentesca, al contrario di Goethe di formazione massonica ermetico-esoterica.

Chi interpretasse la concezione della Natura di Goethe come visione organicista e vitalista, non comprenderebbe che la Natura è da lui concepita in maniera precipuamente esoterica, che il Poeta la scopre come il grande rituale metafisico del Cosmo, infatti, nel rituale della sua sussistenza la Natura sacrifica se stessa, o meglio i suoi componenti, per la sua stessa rinascita e questo rituale, nel quale la morte è la via mistica alla vita, viene ripetuto da sempre e per sempre.
Questa è la metamorfosi vita-morte-vita che Goethe descrive nella sua ciclicità cosmogonica: “Essa è simile alla forza centrifuga, e si perderebbe nell'infinito se non le fosse assegnato un contrappeso: intendo dire l'istinto di specificazione, la pertinace capacità di persistere di ciò che è venuto una volta alla realtà. Una forza centripeta cui nessun elemento esterno può nuocere nel suo fondo più nascosto".
Alla pari di un Lessing e di un Herder, Goethe affronta anche il tema della linguistica. Per lui la partita con la scienza si gioca sul tavolo delle parole. Non ignora che uno strumento concettuale determinato dà anticipatamente la risposta. Goethe critica Newton senza aver conosciuto gli scritti alchemici perché altrimenti la sua polemica forse sarebbe meno decisa. Lo critica per l’uso meccanicista dello studio della Natura, che limiterebbe l’espressività scientifica, dando della Natura e dei suoi accadimenti un’accezione meno semplicistica, osservando: “La nazione, avendo adottato la filosofia sensista, si era abituata a servirsi di espressioni materialiste, meccaniciste, atomiste; e poiché l'uso linguistico si eredita, imponendosi perfino nella conversazione comune, appena quest'ultima si eleva all'ambito spirituale, il linguaggio resiste agli uomini eminenti che cercano di esprimere le loro opinioni".

La visione globale della Natura, che viene dalle concezioni ermetiche apprese da giovane, porta Goethe a criticare la teoria della luce elaborata da Newton e a proporne una ben diversa, intesa come teoria oggettiva dell’esperienza visiva[xviii]. C’è nella concezione goethiana della Natura e delle scienze che la studiano un’immagine di forze in lotta, egli cerca di scoprire le forze e le forme della natura fuori dalle ristrette analisi delle componenti o dei parametri. L’approccio alla Natura deve essere graduale, per contiguità analogica. Nel saggio sull’esperimento come mediatore tra oggetto e soggetto Goethe enuncia: “Poiché in natura tutte le cose, ma specialmente le forze e gli elementi più generali, sono in uno stato di perenne azione e reazione , di ogni fenomeno si può dire che stia in rapporto con innumerevoli altri, come di un punto luminoso libero nello spazio diciamo che invia i suoi raggi in tutti i sensi. Se dunque abbiamo compiuto un esperimento o un'esperienza, non studieremo mai abbastanza ciò che gli sta immediatamente vicino e ciò che immediatamente lo segue . È a questo che dobbiamo guardare, più che a ciò che gli si riferisce. La diversificazione e moltiplicazione dell'esperimento è dunque il primo dovere di un naturalista".

Goethe nella sua smania di sapere studia la scienza e fa esperimenti. La Natura per lui è un campo di azioni e reazioni, dando a questi termini l’accezione della fisica qualitativa dei peripatetici medioevali o dei neostoici rinascimentali. La Natura, nel senso di universo o creato, è un animans, un grande essere animato. Per Goethe la geometria della Natura è preceduta dalle intuizioni vitaliste, egli vede la Natura come la grande Tessitrice ed i rapporti concreti in essa presenti come atti irriducibili, non traducibili in formule matematiche. Solo l’occhio della mente dà senso alla Natura, occhio passionale e carnale.

In una lettera del 1770 egli confessa di avere un’amante segreta dal nome «Chymie», nel tedesco dell’epoca la chimica, scienza che plasmò il suo intelletto molto più di quanto si sappia.
Questo interesse alchemico che lo pervade per tutta la vita ed il simbolismo connesso alla chimica lo esprime con sottile sapienza alchemica nella Fiaba, del 1795 ove utilizza proprio il linguaggio simbolico dell’alchimia. Goethe suscita un vespaio di interpretazioni che osserva con ironia, senza mai svelare i reconditi significati delle sue parole, delle allegorie dei re d'oro, d'argento e di bronzo e di molti altri misteriosi personaggi. In seguito con il romanzo “Le affinità elettive” egli richiamandosi proprio all’alchimia, mette in parallelo gli esseri umani e il concetto chimico d'affinità. Edoardo, personaggio del romanzo, è studioso della chimica, mentre un altro personaggio, il capitano, parla della reazione fra acido solforico diluito e calcare: “Si ha dunque una separazione e’una nuova composizione, il che giustifica l'uso dell'espressione ‘affinità elettiva’, perché s'ha l'impressione che un rapporto venga preferito all'altro, venga eletto in luogo dell'altro”.

Per Goethe fu chiara l’idea che nello studio della Natura l’osservatore e la cosa osservata sono inscindibili; non si può misurare, quantificare, ridurre a forme i numeri ed i numeri a forme, in definitiva è impossibile conoscere con il solo strumento della ragione, perché la conoscenza non può essere disgiunta dalla saggezza[xix].

L’esoterismo, l’ermetismo e l’alchimia di Goethe sono sempre dentro i confini della ragione sensibile; egli rifugge dalla dilagante moda settecentesca della magia, principalmente espressi da Umberto Balsamo, conosciuto come Cagliostro, e considera l’occultismo e la magia come segnali "dell'irruzione delle forze oscure dell'anarchia e del caos". Questi segnali preannunciano la perduta armonia con la furia popolare e gli intrighi di corte.

Goethe, con la sua concezione delle forme simboliche similmente a Kant, non contrappone l’idea all’esperienza, gli nega un valore ontologico, anzi la considera regolativa, come principio e forma assieme. Tale forma, divenuta simbolo, si fa riflessione del vero, diventa strumento conoscitivo della realtà.

Questo sincretismo tra ermetismo e scienza Goethe lo trova compiutamente dentro la Massoneria. Questa, opponendosi alle guerre di religione del XVI e XVII secolo, volle dare fondamento al legame sociale, dopo la crisi succeduta a quelle guerre. Se la Massoneria per i più è “società segreta”, per altri, più “illuminati”, essa è società che “tratta i segreti”. È il luogo dell’esperimento sociale della convivenza infraumana, si pone come protagonista spirituale della realtà europea, distinguendo tra religione naturale e religione positiva. Nella Massoneria si esprime il principio della cittadinanza[xx]. Nella Massoneria e nel suo caratterizzarsi come “laboratorio” di nuove forme di vita associata si va prefigurando la forma politica che poi saranno i partiti di massa, lo “Stato-nazione”.

Goethe conia la parola “tedesco”, intendendo la letteratura come mondiale, distinguendosi nettamente dalle posizioni di Herder che intanto va elaborando la cultura popolare come espressione della nascita di una nazione. Letteratura mondiale e cultura dell’umanità sono i movimenti che si esprimono in pluralità convergenti di una letteratura senza frontiere. Il Faust si pone come figura emblematica di quel percorso che fa dirottare Goethe da quella via che portava alla prospettiva magica verso l’altra via dell’ideale dell’Humanitat, ultima frontiera della cultura umanistica nata in Italia. Per il Goethe massone l’iniziazione si prefigura come rito esoterico della rinascita in opposizione all’ideale illuministico di una “educazione del genere umano”, proposto da Lessing con un’opera proprio con quel titolo. Goethe è convinto che l’aspirazione massonica all’elevazione spirituale corrisponda all’evoluzione culturale e sociale che pervade gli intellettuali del suo tempo. Questa convinzione la conserva fino alla fine, la sua fine “profana” nel 1832, mantenendo fino ad oggi la continuità d’un pensiero massonico che non ha storia e quindi non ha conclusione.

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Di seguito il testo di adesione di Goethe all’Ordine degli Illuminati ritrovato negli archi sovietici:

Io, sottoscritto, m' impegno con il mio onore e buono nome, rifiutando ogni clausola segreta, a non svelare a nessuno, persino agli amici più intimi... in nessun modo... indipendentemente se sia assunto o no, i quesiti che riguardano la mia affiliazione alla società segreta, affidati a me dal Signor Bode, consigliere di legazione. Tanto più che sono stato assicurato che detta società non intraprende niente contro lo stato, la chiesa ed i buoni costumi. M' impegno inoltre a restituire immediatamente tutti i documenti e le lettere, ricevuti a tale proposito, dopo aver preso le note, da me solo concepibili. Se, eventualmente, io ricevo per custodia qualche documento ufficiale dell'ordine, debbo serrarlo in modo estremamente minuzioso, allegando l' indirizzo del versato e probo membro dell' ordine, affinché , in caso della mia morte subitanea, quel documento non capiti assolutamente tra le mani di nessuno. Tutto ciò prometto senza alcuna clausola segreta e dichiaro, da uomo onesto che desidera rimanere tale, io non abbia degli impegni con delle altre società e non divulghi a nessuno i segreti, affidati a me in modo riservato” . Goethe 



NOTE


[i] Letteralmente "Tempesta e Impeto", movimento culturale creato da Goethe insieme a Herder tra il 1770 ed 1785 e che raccolse a Strasburgo un gruppo di intellettualiGeneralmente è definito come movimento pre-romantico.

[ii] Illuminanti sono le parole di Goethe riguardo alla Natura, parole che illustrano compiutamente la sua visione ermetica del rapporto tra Uomo e Natura.

[iii] Egli ha una concezione dell’università come luogo di formazione dell’Uomo a tutto tendo, come istituzione afunzionale, non specialistica. Questa concezione liberale, intesa come educazione liberatrice, capace di far dispiegare all’Uomo le sue capacità e disposizioni.

[iv] Dell’interno di questa esperienza non ci sono informazioni, ma è certo che fu subito abbandonata, tanto che in seguito l’impegno politico di Goethe si volgerà, come già accennato, al serio lavoro politico e diplomatico per il Gran Duca di Weimar, come suo Consigliere segreto.

[v] "Guglielmo Maestro" in una traduzione del nominativo letterale e suggestiva.

[vi] Goethe nel suo epistolario del 1789 non fece mai cenno alla Rivoluzione Francese. Solo nel 1790 fa un breve e poco comprensibile accenno in una lettera al Fr. F. H. Jacobi: “Che la Rivoluzione Francese sia stata anche per me una rivoluzione, te lo puoi immaginare”. Goethe dietro l’apparente disinteresse olimpico, nel maggio dello stesso anno negli Epigrammi Veneziani, sfoga tutta la sua insofferenza: “I grandi pongano mente al triste destino della Francia, ma, in verità, più ancora lo ricordino i piccoli! Dei grandi crollarono; ma chi difese la massa contro la massa? La massa fu tiranno alla massa”. In tal modo Goethe condanna i capipopolo, gli “apostoli della libertà”, i “demagoghi”, ed i “fanatici” ingannatori del popolo.

[vii] Nel 1776 Goethe è membro del Consiglio Segreto, il 6 settembre 1779 è nominato Consigliere Segreto del duca di Weimar, una specie di super-ispettore dei ministeri della guerra, delle miniere, della viabilità ed ovviamente delle attività culturali e teatrali e delle istituzioni accademiche e scientifiche di Jena. Non a caso egli decretò di mettere in cartellone, ogni anno, le opere drammatiche di Lessing. In una lettera scriverà: "mi sembra meraviglioso raggiungere, come in sogno, a trent'anni, il più alto grado onorifico che un cittadino tedesco possa ottenere". Otterrà il 10 aprile 1782 il titolo nobiliare dall'Imperatore Giuseppe II e nel 1804 diverrà ministro.

[viii] È difficile comprendere il passaggio di Goethe da una ribellione politica giovanile all’accettazione di importanti incarichi al servizio del duca di Weimar. Del Goethe politico è anche interessante ricordare la critica di Engels che scrisse: "Noi non rimproveriamo a Goethe alla maniera di un Borne o di Menzel che egli non fosse liberale, bensì che egli, a volte, potesse essere anche un filisteo, non che non fosse capace di alcun entusiasmo per la libertà tedesca, bensì che egli sacrificasse il suo a tratti prorompente e rettissimo senso etico ad una avversione piccolo-borghese verso tutti i grandi movimenti storici contemporanei, non che fosse un cortigiano, bensì che egli, allorquando un napoleone ripuliva la stalla di Augia che era la Germania, potesse occuparsi con tanta solenne serietà delle minuscole faccende e dei 'menus plaisirs' di una delle più minuscole corti tedesche". Engels difende Goethe dalle critiche superficiali e piccolo-borghesi di un Karl Grun, pur tuttavia, sembra non capacitarsi di come un grande ingegno possa asservirsi ad una politica asfittica e mediocre. Indubbiamente Goethe assunse posizioni politiche ambigue che così, sempre Engels (1846), vengono rivelate: “Vi è una continua lotta in lui tra il poeta geniale, che prova disgusto per la meschinità del suo mondo, e l’avveduto figlio del patrizio francofortese, rispettivamente il Consigliere segreto di Weimar, che si vede costretto a concludere un armistizio e ad abituarsi al suo mondo. Così Goethe è ora colossale ora meschino, ora un genio che sfida, deride e disprezza il suo mondo, ora un filisteo rispettoso, limitato e senza pretese.”

[ix]Proprio a questa considerazione si riallaccia immediatamente la direzione del mio spirito contro la Rivoluzione francese durante molti anni e si spiega l’immenso sforzo di affrontare poeticamente nelle sue cause e nelle sue conseguenze quello che fu il più terribile degli eventi. Se mi rivolgo a guardare indietro negli anni, vedo chiaramente come l’attaccamento a questo smisurato argomento abbia consumato quasi inutilmente per così lungo tempo la mia forza poetica e pur tuttavia, ogni impressione era così profondamente radicata in me che io non posso negare di pensare ancora oggi alla continuazione della ‘Figlia naturale’, di immaginarmi nel pensiero gli sviluppi di questo singolare prodotto senza avere il coraggio di dedicarmi concretamente alla sua esecuzione”.

[x] Che poi sarà trattata con sublime maestria nel Prometeo, con l’affermazione della divinità dell’umano.

[xi] L'uscita di quest'opera coincide con la riapertura della loggia di Weimar. Goethe manterrà i contatti con la Massoneria fino alla morte (1832).

[xii] Gli Alti Gradi della Stretta Osservanza sono quelli superiori al terzo. In tutto essi sono sette: Apprendista, Compagno, Maestro, Maestro scozzese, Novizio, Templare, Cavaliere. È un’organizzazione massonica con forti richiami e simbologie al Templarismo esoterico. È in questa fascia degli Alti Gradi, dal terzo al settimo, che sarebbero riposti i segreti esoterici più nascosti

[xiii] Nel 1737 Andrè-Michel de Ramsay con i "Discorsi sui Crociati e le Logge Francesi" rivendicava l'origine templare della massoneria. Nacque quindi in Francia una massoneria con diversi riferimenti ai Templari, dotandosi di diversi livelli: la sezione nota come Consiglio di Kadosh (livelli 19-30) ed i due livelli finali (31 e 32), noti come Concistori. Tale organizzazione diede quindi origine al rito scozzese. Nel 1754 Karl Gotthelf von Hund nel "Del Regime della Stretta Osservanza" difenderà la medesima tesi e fonderà una loggia massonica di "stretta osservanza templare".

[xiv] "Che voluttà ho trovato nei misteri, nelle oscure costruzioni dell' immaginazione" scriveva Goethe.

[xv] Per W. Benjamin Goethe è posseduto da una “activité dilettantique”, nel senso della passione e la capacità di “esercitarsi nei dominî limitrofi di molte scienze”. Lo stesso può essere detto per Herder e Lessing. È molto probabile che, oltre alla tipica temperie culturale del XVIII secolo, molto influisse l’idealità massonica. Dobbiamo anche ricordare, per meglio intendere, che Jacob Burckhardt inteso il termine Dilettantismus in senso simile: "Nelle scienze si può essere maestri anche soltanto in un ambito limitato, ossia come specialista [...]. Ma se non si vuole smarrire la capacità di una visione generale, anzi l’apprezzamento del suo valore, allora si faccia in modo da essere dilettanti in molti altri campi [...].

[xvi] Dice Benjamin: “Che cosa sono, in fin dei conti, le loro infaticabili iniziative [...], se non un cambiamento di quinte in una scena tragica?”.

[xvii] Sempre Benjamin: “Nella forma mitica originaria del sacrificio [mythische Urform des Opfers], si realizza [...] il simbolismo della morte”.

[xviii] "La luce e l'oscurità sono in perpetua lotta l'una contro l'altra. Non si può misconoscere la loro azione e reazione reciproca. Con un'elasticità e una rapidità inimmaginabili, la luce cade dal Sole verso la Terra e rimuove l'oscurità; lo stesso accade con la luce artificiale in uno spazio proporzionato. Ma appena cessa quest'azione immediata, l'oscurità mostra subito la sua potenza, e si afferma nelle ombre, nel crepuscolo, nella notte".

[xix] Sembra quasi che Goethe prefiguri il principio di indeterminatezza di Heisenberg.

[xx] “Primo grande esperimento riuscito di costruzione artificiale di un legame sociale" lo chiama Cazzaniga, anticipando Giarrizzo, che la definirà come “Religione dei moderni”.

 

APPENDICE

 

Uno scritto dagli evidenti riferimenti ermetici di Goethe sulla Natura

 

Natura! Noi siamo da lei circondati e avvinti – incapaci di uscirne e incapaci di penetrare in lei più profondamente. Non pregata né ammonita, ci piglia nel circolo della sua danza e ci spinge oltre, con noi, finché, stanchi, cadiamo dal suo braccio.

Crea eternamente nuove figure: ciò ch’esiste non è ancora mai stato; ciò che fu non ritorna; tutto è nuovo e pure sempre è l’antico.

Viviamo in seno a lei e le siamo estranei… Parla con noi incessantemente e non tradisce il suo segreto. Operiamo costantemente su di lei e pure su di lei non abbiamo alcun potere.

Sembra aver poggiato tutto sull’individualità, e degli individui non sa che fare. Costruisce senza posa e senza posa distrugge, e la sua officina è inaccessibile.

Vive solo nei figli, e la madre dov’è? È l’unica artefice; crea dalla più semplice materia pei più grandi contrasti: senz’apparenza di fatica, per la più grande perfezione; per l’esattezza più precisa, sempre rivestita di un che di molle. Ognuna delle sue opere ha una propria essenza, ognuno dei suoi fenomeni il concetto più isolato, e pure tutto si compone in unità.

Rappresenta uno spettacolo; se lei stessa lo veda non sappiamo noi; eppure lo rappresenta per noi, che stiamo in un angolo.

È un’eterna vita, divenire e moto in lei, e pure non progredisce. Si trasforma eternamente, e non è istante di posa in lei. Non intende la quiete, alla quale ha inflitto la sua maledizione. È inconcussa; il suo passo è misurato, rare le sue eccezioni, le sue leggi: immutabili.

Pensato ha già e medita perennemente; ma non da uomo, bensì quale natura. S’è riservata un proprio intendimento, che tutto abbraccia e nessuno le può carpire.

Gli uomini sono tutti in lei, e lei in tutti. Con tutti ella mena un amichevole gioco e si rallegra quanto più la si vince. Con molti lo conduce in tale segretezza che arriva alla fine prima che quelli se n’avvedano.

Anche la cosa più innaturale è natura; anche la più ottusa grettezza, ritiene qualcosa del suo genio. Chi non la vede in ogni luogo, non la vede veramente in alcun luogo.

Ama ella se medesima e fissa eternamente, con pupille e cuori innumerevoli, se stessa. S’è spiegata, per godere se stessa. Sempre suscita nuovi goditori, insaziabile di comunicarsi.

Si rallegra dell’illusione. Colpisce come fosse il più rigido tiranno quei che distrugge in sé e negli altri l’illusione. Chi fiducioso la segue, ella stringe come un bambino al suo cuore.

I suoi figli sono senza numero. A nessuno è in tutto avara, ma ha prediletti, in cui molto va prodigando e a cui molto sacrifica. Alla grandezza ha legata la sua difesa.

Dal nulla fa pullulare le sue creature e non dice loro di dove vengano e dove vadano. Solo camminare devono; lei conosce la strada.

Ha pochi impulsi, ma non mai consunti; sempre efficaci, sempre molteplici.

Il suo spettacolo è sempre nuovo, perché ella crea sempre nuovi spettatori. La vita è la sua più bella invenzione, e la morte è il suo artificio per aver molta vita.

Avvolge l’uomo d’opacità e lo sprona alla luce. Lo fa incline alla terra, pigro e greve, e sempre lo riscuote da capo.

Infonde bisogni perché ama il movimento. Miracolo come ottenga tutto questo movimento con tanto poco! Ogni bisogno è beneficio; presto soddisfatto, presto ricresce. Se ne infonde uno di più, è una nuova fonte di piacere; ma rapidamente tocca l’equilibrio.

Si accinge in tutti gli istanti per la più lunga corsa, ed è ogni istante alla meta.

Lascia ogni bambino tentare con lei i suoi artifici, ogni pazzo su di lei sentenziare, migliaia trapassare su di lei, ottusi senza nulla vedere, e di tutti gode e in tutti trova il suo tornaconto.

Si obbedisce alle sue leggi, anche contrastandovi; si opera con lei anche se si vuole operare contro di lei.

Di tutto quello che dà, fa beneficio. Evita che si abbia a supplicarla; ha premura che non ci si sazi di lei.

Non ha linguaggio né discorso, ma crea lingue e cuori, traverso i quali sente e parla.

La sua corona è l’amore; solo attraverso l’amore ci si avvicina a lei. Spalanca abissi fra tutti gli esseri, e tutto vuole assorbire. Tutto ha isolato, per stringere insieme tutto. Con qualche sorso alla tazza d’amore risarcisce di una vita piena di travaglio.

È tutto. Premia se stessa e castiga se stessa, si rallegra e si tormenta È aspra e molle, amorevole e tremenda, inerme e onnipotente. Tutto esiste sempre in lei… Passato e futuro non conosce. Il presente è la sua eternità. È benigna. Io lodo lei con tutte le sue opere. È saggia e calma. Non le si strappa alcuna dichiarazione, non la si sforza ad alcun dono, che non dia spontanea. È astuta, ma a buon fine, e il meglio è non notare la sua astuzia.

È intera, e pur sempre incompiuta. Come vive, può vivere sempre. A ognuno appare in una propria figura. Si cela in mille nomi e termini, ed è sempre la stessa.

Lei mi ha posto qui, lei me ne guiderà anche fuori. Io mi affido a lei. Mi domini pure; non odierà la sua opera. Non io ho parlato di lei; no, quel ch’è vero e quel ch’è falso, tutto ha ella detto. Tutto è sua colpa, tutto è suo merito.

 



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