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Alessandro E.M. Pisani

SCRITTI ALCHEMICI E CURIOSI

La frittata alchemica
La rilevanza epistemica dell'esplicitarsi della phantasia
ovvero: è commestibile la frittata di uova alchemiche?
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PHANTASIA & CURIOSITAS
NOTE INTRODUTTIVE ALLA RICERCA ALCHEMICA
ALCHIMIA
L' UOVO E LA GALLINA.....DEI FILOSOFI, NATURALMENTE!
LABIRINTO - L'IDENTITA' DI DEDALO
IL LIBRO NELL' ALAMBICCO
L' ALAMBICCO NEL LIBRO
LA FRITTATA ALCHEMICA
Repertorio alchemico, cabalistico, magico e “curioso” Repertorio.pdf.zip 2.230 Kb


            Si vive nel presente. Si vive con fiduciosa attesa dei frutti del progresso. Si vive, talvolta anche a fatica, con la fierezza di chi  ha fatto, fa e farà ogni tentativo per sgomberare la mente da imbarazzanti ombre al fine di avvicinarsi asintoticamente alla condizione di lavorare alla limpida luce della ragione. Questo, semplificato ai livelli estremi, è il modello di vita dello studioso occidentale e, in particolare, questo è il consolidato paradigma della ricerca scientifica. I pregi del modello sono evidenti e incontestabili ed è del tutto legittimo pensare che, se tutti i passi della ricerca fossero conformi a tale modello, il progresso, il criterio di valutazione più estesamente riconosciuto, non potrebbe che ricavarne un significativo incremento. La valutazione resta però sospesa proprio in considerazione di quanto sia lecito considerare il progresso, così come è inteso dall'Occidente moderno, come criterio di valore assoluto o quanto meno preponderante. Questo interrogativo ha ragione di esistere sia che si giudichi quanto è già avvenuto, sia che si valutino le possibili premesse per il futuro. Detto altrimenti: come motivare l'incremento di sapere in contesti che del sapere non permettono un'interpretazione puramente o precipuamente strumentale (si pensi al nostro Medio Evo e alle civiltà orientali) e, soprattutto, quali giustificazioni addurre al circoscrivere, come fa l’Occidente moderno, il sapere a solo alcuni tipi di attività cognitiva e, in subordine ma non meno cogentemente, come spiegare i progressi del sapere che, come bene viene illustrato dalla storia della scienza moderna, hanno preso spunto da attività cognitive diverse da quelle razionali e, in ogni caso, non riconducibili a nessuna delle metodologie proprie della ricerca scientifica?

 

            Questo interrogativo può essere formulato anche in un altro modo, ci si può chiedere cioè se la phantasia ha una rilevanza nulla o addirittura negativa nell'accrescimento del sapere e, in particolare, nello sviluppo della ricerca scientifica (o, come dice il sottotitolo, se le frittate di uova alchemiche sono necessariamente incommestibili).

 

            Fra le risposte che è possibile formulare a domande di questo tipo, due si impongono con pari facilità e forza.

 

            La prima risposta, senz'altro la più seguita e forse anche la più facilmente percorribile, nega senza indugio ogni rilevanza epistemica ad attività quali la magia, la cabala, l'alchimia  e l'astrologia facendo leva sul carattere non-scientifico di queste discipline, vale a dire sottolineando l'assenza, o la grave carenza, di quei caratteri che sono considerati distintivi e qualificanti la vera ricerca scientifica: la completezza, la neutralità, l'obiettività, la riproducibilità, l'assenza di ipotesi ad hoc (l'hypotheses non fingo di Newton), etc. A favore di questa valutazione negativa delle attività "fantastiche" gioca anche il fatto che, mentre la scienza moderna dalla sua nascita a oggi ha avuto uno sviluppo continuo e veloce unito a un incremento a esponenzialità geometrica  dei risultati, le attività "fantastiche" , e si pensa in particolar modo all'alchimia, sono invece diventate del tutto marginali sia a livello sociale[1] che a livello pratico[2]. Da ciò risulta che attività come l'alchimia sono, agli occhi praticamente di tutti, i residui di un passato ormai troppo lontano e in ogni caso ininfluente per i bisogni dell'uomo moderno. Residui certo fascinosi ma viziati dall'incapacità di trovare il modo di adempiere anche ai minimi requisiti epistemologici e quindi da esporre, tutt'al più, tra le curiositates delle odierne Wunderkammern o da segregare nel sempre accogliente ambito del patologico.

 

            La seconda risposta, meno popolare, ma forse proprio per questo più seducente, consiste nell'apologizzare attività quali l'alchimia sulla base di argomentazioni che, con logica coerenza, pongano a confronto dati storici e moderne e accettate nozioni scientifiche.

 

Sempre in riferimento all'alchimia, è possibile evidenziare:

 

1.       Fin dai primi documenti disponibili[3] risulta che gli alchimisti ritengono possibile, e propugnano, la trasformazione di un elemento in un altro (e, in particolare, di uno "vile" in uno "nobile").

2.       La scienza ufficiale ha sempre negato la possibilità di trasformare un elemento in un altro finché, in tempi relativamente recenti[4], è stato determinato che tale possibilità in linea teorica esiste benché non sia vantaggioso cercare di sfruttarla a causa dell'enorme impiego di energia che si rende necessario per effettuare tale trasformazione.

3.       La ricerca storica[5] ha appurato che la scienza ufficiale ha spesso proceduto compiendo arrangiamenti ad hoc e addirittura praticando una cosmesi delle esperienze effettuate o riferendo risultati di esperienze mai realizzate se non idealmente. Ciò che è più significativo è che tra queste vere e proprie truffe scientifiche, indipendentemente dal valore dei risultati grazie a loro ottenuti, si possono annoverare alcune esperienze chiave della scienza occidentale. Si pensi all'esperimento del piano inclinato che permise a Galileo di formulare la legge del moto uniformemente accelerato (s = 1/2 at²): già Alexandre Koyré pose in dubbio il fatto che Galileo avesse realmente condotto l'esperimento che con tanta efficacia descrive nel Dialogo sopra i massimi sistemi, mentre nel 1973 Ronald Naylor dimostrò che era impossibile riprodurre con successo l'esperimento secondo le modalità indicate da Galileo il quale dunque, pur pervenendo a un risultato valido, non poteva averlo eseguito che mentalmente[6]. Un altro famoso esempio di manipolazione dei dati è fornito dal calcolo newtoniano della velocità del suono[7].

4.       E' sempre l'indagine storica a segnalare che non poche scoperte scientifiche sono avvenute non grazie a un'austera e rigida metodologia, né grazie a una concatenazione di passi razionali, bensì sotto l'influsso di suggerimenti e allusioni provenienti dal mondo della phantasia. Sempre a titolo di esempio si può ricordare che la legge delle proporzionalità quadratica inversa che governa il conatus recedendi di un pianeta in orbita attorno al sole sia stato suggerito a Newton dalle sue scoperte alchemiche e dalla "sua conoscenza delle tradizioni ermetiche con le loro digressioni nella teologia e nella mitologia antica" [White 2001: 267]. Si può citare ancora l'esempio di Keplero la cui astronomia, secondo il parere di alcuni studiosi americani, funzionerebbe così bene, nonostante non potesse ancora avvalersi dei potenti strumenti della fisica newtoniana, proprio grazie all'abilità dello scienziato di scivolare verso presupposizioni metafisiche allorché quelle fisiche non potevano più essere di aiuto. E' in considerazione di situazioni di questo tipo che Gerald Holton considera necessario che nello studio della nascita e dello sviluppo della scienza si vada alla ricerca di ipotesi non verificabili e non falsificabili e che tuttavia alla fine si riveleranno non del tutto arbitrarie e, in certi stadi dello sviluppo, addirittura necessarie. Questo tipo di analisi, continua lo studioso, rivelerebbe la sua significatività anche nei confronti delle scienze più giovani che, a suo avviso erroneamente, cercano di emulare le più vecchie restringendo la loro area di indagine, anche in modo arbitrario, al solo piano contingente delle asserzioni fenomeniche e analitiche[8]. A conclusione di questo schizzo preliminare della natura talvolta ibrida della scoperta scientifica, si deve ricordare come l'influenza dell'irrazionale avvenga però anche in altro modo e cioè favorendo, si potrebbe dire con qualsiasi mezzo, il successo di un'ipotesi sulle sue antagoniste. Paul K. Feyerabend dice a proposito di una simile strategia adottata da Galileo:

5.        

      "... il proselitismo alle nuove idee deve essere stato realizzato mediante mezzi non argomentativi. Esso dev'essere stato realizzato facendo ricorso a mezzi irrazionali come la propaganda, l'emozione, ipotesi ad hoc e appello a pregiudizi di ogni sorta." [Feyerabend 1979: 125]

 

A sintesi di questi quattro punti apologetici nei confronti di attività quali l'alchimia, si potrebbe dire che mentre il suo principale punto programmatico (la trasformazione di un elemento in un altro) si è alla fine dimostrato realizzabile (seppur con metodi e tecniche differenti da quelli in uso presso gli alchimisti medievali e rinascimentali), l'immagine di una scienza immune da influssi extra-razionali e soprattutto l'immagine di una scienza che rifugge da metodologie diverse da quelle che distinguono l'attività scientifica da ogni altra attività intellettuale, sono state offuscate[9]. Procedere, però, lungo una simile linea argomentativa non solo tradirebbe una strategia retorica partigiana (con tutti i conseguenti rischi di cadere nel falso e nel ridicolo) ma soprattutto farebbe perdere di vista i reali punti di forza della phantasia nell'impegno di accrescere il sapere.

 

Prima di esporre le motivazioni che portano a considerare l'attività della phantasia integrata e non indifferente od opposta all'accrescimento del sapere, è utile vedere che cosa oggi si intende (ma la problematica è antica) per "futuro della scienza": "Il modo più semplice per pensare al possibile futuro della scienza è quello di considerare solo due aspetti: in primo luogo se esiste o meno una quantità di informazioni fondamentali sulla Natura ancora in attesa di essere scoperte, e in secondo luogo se le nostre capacità siano o meno limitate. Ciò rende possibili quattro tipi distinti di futuro:

 

Futuro di tipo I  :   Natura illimitata e capacità umane illimitate;

Futuro di tipo II  :   Natura illimitata e capacità umane limitate;

Futuro di tipo III :   Natura limitata e capacità umane illimitate;

Futuro di tipo IV :   Natura limitata e capacità umane limitate." [Barrow 1999: 108]

 

Forse per non cadere nelle grossolane ingenuità del passato, lo stato della ricerca è oggi in una posizione attendista circa l'opzione da prediligere. Quello che è singolare, però, è che il tipo di capacità umane considerate utili per il progresso della scienza non sia poi così dissimile da quello preso come unità di misura da un Cartesio o da De l'interpretation de la nature di Diderot. E' singolare cioè che le capacità che filosofi della scienza e scienziati prendono in considerazione siano circoscritte nell'ambito della razionalità quando quest'ultima è sfruttata al meglio solo da un esiguo numero di individui e, ciò che più conta, rappresenta solo un'esigua parte delle capacità cognitive dell'uomo:

 

            "Senza dubbio i nostri antenati avevano bisogno di qualche capacità razionale per sopravvivere, ma [...] il cervello umano si evolse più come organo religioso che razionale [...] La scienza razionale interessa una minoranza [...] E' pertanto probabile che i primi cervelli umani si siano evoluti per imporre significati simbolici al mondo esterno, e che in seguito il virus della scienza abbia infettato una minoranza dei loro discendenti dove ora prospera in circuiti nervosi originariamente evolutisi per trasmettere altre idee." [Humphrey 1995 : 52-3; cit. in Barrow 1999: 134].

 

Il fatto che, nel genere umano, l'evoluzione delle capacità mentali abbia preso una via solo parzialmente coincidente allo sviluppo delle capacità razionali comporta una divaricazione, assai netta ma variabile in funzione delle diverse culture, tra sviluppo delle capacità mentali e sviluppo della conoscenza (che nell'Occidente, non fosse per altro che per ragioni di utilità, è per intero circoscritta all'ambito della razionalità). E' in ragione di questa divaricazione, e con la finalità di attenuarla e quindi di ottimizzare le capacità operative della mente,  che la modalità cognitiva "fantastica" (certo sfruttando una naturale propensione dell'uomo, sebbene non sia possibile dire con quanta consapevolezza di ciò e soprattutto delle proprie potenzialità) ha battuto, e batte, con insistenza il tasto degli orizzonti di sapere pronti a dischiudersi se solo si volesse superare la sua soglia e prendere dimestichezza con ciò che viene messo a disposizione. E' chiaro che, vuoi per la relativa lontananza del mondo della phantasia da quello della razionalità, vuoi per le palesi ingenuità, superficialità e frodi da parte del primo e per le idiosincratiche prevenzioni del secondo, l'apporto "fantastico" è stato, ed è, almeno in apparenza ridotto. La constatazione fattuale (il ridotto apporto) non pregiudica però la potenzialità oggettiva. In concreto, i limiti che si pongono il pensiero razionale e, ancor più e a ragion voluta, il pensiero scientifico sono limiti intrinseci al loro modo di procedere, alle regole che si sono imposti e a ciò di cui devono rendere conto. Ciò non significa, e sarebbe quanto meno superstizioso ammetterlo, che i loro limiti non si dice coincidano ma neppure si avvicinino a quelli imposti dal loro oggetto di osservazione, diciamo la Natura. Il passo da qui allo scientismo è impercettibile. Per evitare questo passo falso è opportuno prendere in considerazione le indicazioni di Popper [1970, cap. I] il quale situa la formazione di teorie e ipotesi all'esterno del metodo scientifico, e precisamente in un ambito che egli definisce "metafisico" e dunque estraneo a quello della sua ricerca. Cionondimeno egli sottolinea l'importanza vitale che queste teorie e ipotesi situate nell'ambito metafisico hanno avuto per lo sviluppo della scienza[10]. A spiegazione del perché ciò che Popper definisce "metafisico" sia stato abbastanza brutalmente allontanato dai confini della scienza, consentendo così a quest'ultima di esibire il suo aspetto più cristallino, si può addurre il tipico comportamento degli scienziati (ma anche di storici e filosofi della scienza) sempre pronti "a rimandare o evitare discussioni sul contesto personale della scoperta a favore del contesto della giustificazione" [Holton 1973:17][11].

 

A prescindere da questi aspetti, tutto sommato marginali al progredire del sapere, come evitare allora di cadere da un lato in un ottuso scientismo e dall'altro nelle fallacie a cui spesso è stato condotto chi ha percorso i territori della phantasia? Una risposta, sobria e moderata, è offerta da Ermanno Bencivenga[12]:

 

            "Restando inteso che qualsiasi risposta a domande del genere ha un significato normativo, esprime cioè quello che uno pensa dovrebbe essere il corso delle cose (o delle opinioni), la mia risposta è che tra scienza e filosofia c’è assoluta continuità. In ogni momento storico esistono ambiti in cui non si sa come muoversi : ci sono importanti questioni aperte e una loro «soluzione» cambierà in modo decisivo le nostre abitudini e aspettative. E poi esistono altri ambiti in cui le questioni fondamentali sembrano chiuse e si lavora metodicamente per smussare gli angoli e rifinire la facciata di maestosi edifici conoscitivi. Chi si dedica a questa seconda operazione mi sembra più uno scienziato ; chi si dedica alla prima mi sembra più un filosofo. (Per usare la terminologia di Kuhn, la scienza è scienza normale, mentre la scienza rivoluzionaria è filosofia). Ma si noti che non è l’argomento a far differenza ; è il livello d’incertezza del nostro procedere. La scientia si trasforma in filosofia ogni qualvolta la conoscenza, da bene in sicuro possesso, si trasforma nell’oggetto sfuggente di un desiderio, di un amore." [Bencivenga 2001 : 165-166]

 

Ma il discorso può essere spinto oltre. Ancora una volta la storia della scienza fornisce utili indicazioni:

 

"...sembrerebbe che, grazie all'intermediazione dei mistici cristiani e dell'alchimia, la cabala abbia debordato dal quadro della tradizione ebraica propriamente detta per influenzare le filosofie del Rinascimento da cui è sorta la scienza classica, certamente in rottura ma segnata dalle sue origini. E' in queste filosofie del XVI e XVII secolo, che la razionalità mistica [sottolineatura aggiunta, nda], ben differente dalla scolastica e prescientifica per molti aspetti, si mostra nel modo più evidente. Prima di Keplero e di Newton che contraddistinguono la cerniera tra l'antica e la nuova scienza, è un individuo come Paracelso che rappresenta assai bene questo straordinario intricarsi di intuizioni che anticipano la scienza del XIX secolo e di pensiero magico e alchemico razionalizzato in una filosofia della natura il cui potere esplicativo, privo però di efficacia tecnica, è dei più seduttivi." [Atlan 1986: 125-6]

 

            Il "debordare" di discipline come la cabala e l'alchimia non ha luogo, però, solo in direzione di altre discipline ma, in primo luogo e più estesamente, all'interno delle capacità stesse di pensiero, insinuando così un legittimo dubbio sulla limitatezza delle possibilità umane: non dice forse il Sefer ha-Zohar, proprio nelle sue prime pagine, che questo mondo e gli infiniti altri sono creati con le lettere dell'alfabeto e grazie ai sentieri che reciprocamente le uniscono? Il punto di forza della phantasia è proprio questo: istituire relazioni non consentite dal pensiero logico-discorsivo e, di qui, individuare aspetti che altrimenti sarebbero rimasti nascosti. Una parte di questi aspetti rimarrà di pertinenza esclusiva del "fantastico": saranno gli oggetti delle pratiche cabalistiche, alchemiche, magiche, mistiche e, in misura ridotta, quelli che verranno riassorbiti e istituzionalizzati da una fede religiosa. Un'altra parte, più esigua, avrà invece un potere stimolante e talvolta fecondante sul pensiero logico-discorsivo e, in ultimo, sull'attività scientifica.

 

            I vantaggi offerti dalla phantasia per lo sviluppo della conoscenza non si arrestano qui. La phantasia procede secondo quello che Edward de Bono ha definito "pensiero laterale", distinto, complementare, irregolarmente in opposizione al modo di procedere "verticale" del pensiero logico-discorsivo. Caratteristica del pensiero laterale è il privilegio della creatività rispetto alla continuità:

 

"La creatività non si occupa solamente di generare nuove idee ma anche di fuggire da quelle vecchie. La continuità è la ragione della sopravvivenza della maggior parte delle idee, non una ripetuta dichiarazione del loro valore. Una tale continuità può intrappolare in una considerevole inefficienza. Liberati dalla prigione di un'idea obsoleta, ci si può spingere oltre. Inoltre le idee [...] che si sviluppano nel tempo lentamente tendono a diventare ingombranti. Con una ristrutturazione creativa si può eliminare l'inefficienza e rimettere le cose insieme in un modo molto più semplice ed efficace [...] C'è stato un tempo in cui si pensava alla creatività come a un lusso a disposizione principalmente degli artisti. Questo è cambiato. Oggi la creatività è vista come una parte essenziale del pensiero. Essendo la creatività il cambiare delle idee, essa è inseparabile dall'uso delle idee stesse." [de Bono 1982: 2 e 222]   

 

E' facile, per l'uomo moderno, guardare con occhio divertito e sprezzante gli scritti e le esperienze degli alchimisti: un coacervo di ingenuità, di ingiustificate complicazioni spesso mescolate a solide conoscenze tecniche e, al tempo stesso, a giustificazioni misticheggianti. E' bene capire però che, ciononostante, l'alchimia - e, in forme un po' diverse, il pensiero cabalistico -  rivestì un ruolo probabilmente insostituibile per quello che riguarda la rimozione di idee e di modi di operare ormai sterili. Come opportunamente sottolineano Chiara Crisciani e Michela Pereira [1996, passim], l'alchimia è "un sapere che nasce dal fare", è una scientia e cioè non una "serie di ricette... [ma] un insieme di dottrine che orientano ed hanno per scopo un fare/trasformare"  che non si inserisce "in una tradizione già esistente, per quanto indebolita, ma [viene] ad occupare uno spazio vuoto". L'alchimia, come del resto la magia e l'astrologia giudiziaria, non venne infatti mai ufficialmente ammessa nel curriculum di filosofia naturale, ma nonostante questo, e forse anche grazie a ciò, svolse un ruolo di primo piano nel sovvertire il modo medievale di fare scienza: non più quindi un sapere basato esclusivamente sulle auctoritates, ma un sapere che non si sentiva umiliato dal ricorso alle artes mechanicae e ai suggerimenti provenienti dalla pratica di laboratorio o, addirittura, da quanto si era sedimentato nel sapere popolare. Dicendo questo non si vuole riabilitare la vecchia immagine storiografica della scientia medievale come contenitore vuoto e, in quanto tale, assolutamente da eliminare. E' ormai acquisito che il Medio Evo non fu l' "era oscura" dipinta, per motivi essenzialmente ideologici, da molti storici, come del resto sempre più ampia è la consapevolezza che le conoscenze scientifiche medievali costituiscono il necessario passaggio alla scienza del Rinascimento e, di qui, alla Rivoluzione Scientifica[13]. E' altrettanto innegabile, però, che non pochi e non poco cogenti furono i limiti eteronomi imposti al sapere medievale: in primis quelli religiosi (tali che era vietato arrivare a conclusioni che contraddicessero il dettato biblico), quindi delle già citate auctoritates (con Aristotele in testa a tutte). Gli alchimisti medievali furono in tutto e per tutto uomini del loro tempo[14] che si differenziavano però  dagli studiosi impegnati nell'insegnamento universitario, ed è questa la novitas assoluta che venne percepita da molti loro contemporanei, grazie a una curiositas che impediva loro di farsi frenare da suddivisioni disciplinari, sociali[15] o geografiche[16]. Questa curiositas è causa e conseguenza, al tempo stesso, dell'esclusione di una disciplina "nuova" come l'alchimia dall'università medievale: causa, perché l'università non poteva e non voleva tollerare una simile indifferenza alle suddivisioni, conseguenza, perché è proprio grazie all'esclusione che l'alchimia poté godere di più ampi margini di libertà. Se è possibile escludere, in astratto, una scientia come l'alchimia dall'università, meno facile, per non dire affatto impossibile, è l'esclusione di chi si dedichi anche a questa scientia. Gli uomini sono fortunatamente più flessibili delle istituzioni nel porsi in relazione con vincoli, limiti e suddivisioni. Fu così inevitabile che alcuni degli uomini di scienza impegnati nell'insegnamento universitario si dedicassero, al di fuori di questo, alla scientia alchemica e altrettanto inevitabile che temi, intuizioni e suggestioni, che erano scaturiti dalla pratica congiunta della sperimentazione in laboratorio e dello studio accanito dei testi, venissero a influenzare il loro pensiero e, di qui, a riflettersi sul loro insegnamento universitario (sebbene sia impossibile stabilire a quale livello di consapevolezza): respinta ufficialmente, l'alchimia incominciò dunque a esercitare la sua influenza e il suo potere fecondante sul sapere scientifico già in epoca medievale[17]. Questa influenza è chiaramente più esplicita in quegli studiosi della Natura che maggiormente caratterizzarono il corso delle ricerche della loro epoca e, in particolare, in coloro che ne influenzarono lo sviluppo o addirittura una svolta: si pensi ad Alberto Magno, a Ruggero Bacone, ad Arnaldo da Villanova per l'epoca medievale e a Robert Boyle, Robert Fludd, Henry More e  Isaac Newton per la Rivoluzione Scientifica. La ricerca storica di stampo positivista considera l'interesse per la phantasia da parte di personaggi di questo tipo, e segnatamente per quelli legati alla Rivoluzione Scientifica, come un fatto marginale, una personale disposizione al misticismo, qualcosa insomma da tenere al di fuori dalla sfera della ricerca scientifica, in forza della incompatibilità e incomunicabilità tra razionale e irrazionale. Si dovrebbe in realtà parlare di forme diverse di razionalità e vedere in questi filosofi della Natura degli individui particolari proprio per il fatto di aver saputo far progredire queste diverse forme di razionalità e di aver saputo sfruttare la capacità della phantasia di compiere balzi per poter poi ripercorrere il cammino con quei passi precisi e regolari che sono tipici del metodo scientifico.

 

Per concludere, allora, e per rispondere al quesito iniziale sulla commestibilità di una frittata di uova alchemiche, si può dire questo: se si pensa che l'alchimia (e le discipline a lei affini) siano una sorta di prefigurazione della scienza moderna[18], la risposta è no, la frittata non è commestibile, non si ha a che fare, cioè con qualcosa che, anche con i criteri più elastici, possa essere definito "scientifico". Se invece si considerano le discipline della phantasia come attività capaci di influenzare, fecondare e imprimere nuove direzioni all'attività scientifica, la risposta è sì: alchimia e discipline affini hanno influito dall'esterno sulla scienza. Per mantenere la figura della commestibilità, si può dire che avviene come per la patata che da poco commestibile da cruda, una volta cucinata diventa alimento non solo buono da mangiare ma anche capace di determinare il corso e la sopravvivenza di intere comunità.

 

            In una riflessione sulle relazioni tra scienza e mistica Henry Atlan[19] dice:

 

            "La complementarità tra scienza e mistica è, a un certo livello, banale nel senso che, nei fatti, è la stessa umanità che, a livello collettivo, ha elaborato queste procedure di conoscenza e che, a livello individuale, è possibile adottarle entrambe, rispettando per ciascuna di esse le regole del gioco che le sono proprie. Ma, ben a ragione, queste regole sono tali che queste due procedure si escludono l'un l'altra per il fatto che entrambe pretendono, in linea di massima, l'esclusività. Ciascuna di esse stabilisce, fin dall'inizio, che l'orizzonte di sua pertinenza è senza limiti e di essere capace, in principio, di rendere conto della totalità dell'esistente. Non ci può dunque essere complementarità logica o cognitiva o anche semplicemente discorsiva tra scienza e mistica. La complementarità nei fatti, banale, non implica nient'altro di dicibile che la semplice esistenza fianco a fianco di due procedure che si escludono l'un l'altra. Ma ciò non vuol dire: esse possono ancora dialogare l'una con l'altra e questo dialogo può avverarsi fecondo per l'una come per l'altra a condizione, ancora, che non si tratti di cercare un metadiscorso che le inglobi entrambe. Questa fecondazione reciproca può essere determinante nella genesi delle scoperte scientifiche o delle illuminazioni mistiche, ma diventa presto sterilizzante non appena deborda l'istante della scoperta pretendendo di fondare delle teorie o delle metateorie, o anche delle meditazioni filosofiche che bisognerebbe prendere sul serio come oggetti di credenza." [Atlan 1986: 321]

 

            Alchimia, cabala e magia, allora, non come strumenti per produrre nuove scoperte scientifiche bensì come procedure che hanno consentito, a certuni, di vedere il sipario della realtà strapparsi e scorgere attraverso i suoi lembi sfilacciati una realtà nuova, diversa, altrimenti disposta. Forse un altro sipario:

 

            "... Ci si può mettere a sedere su un tronco abbattuto o su una panchina in montagna a contemplare un armento che pascola, e anche soltanto così esser trasportati di colpo in un’altra vita !  Ci si perde e a un tratto si ritorna in sé : tu stessa ne hai già parlato.

- Già, ma come spiegarsi quel che succede ? - chiese Agathe.

- Per spiegartelo devi prima di tutto capire che cos’è il normale, creatura sorella !  - dichiarò Ulrich cercando di frenare con uno scherzo il pensiero troppo precipite. - Il normale è che una mandria per noi non è altro che carne di vitello pascolante. Oppure un soggetto pittoresco con uno sfondo. Oppure non ce ne accorgiamo neanche. Armenti e greggi su viottoli di montagna fanno parte dei viottoli di montagna, e ciò che si prova alla loro vista si potrebbe misurare soltanto se al loro posto ci fosse un orologio elettrico o una banca. Altrimenti si medita se sia il caso di alzarsi o di restare seduti, si trova che le mosche svolazzanti attorno al branco sono moleste ; si guarda se non c’è un toro là in mezzo ; ci si chiede dove porta il sentiero ; un’infinità di piccole intenzioni, preoccupazioni, calcoli e scoperte che costituiscono per così dire la carta su cui è disegnata l’immagine della mandria. Della carta non si sa nulla, si sa soltanto del branco di bovini...

 

- E a un tratto la carta si strappa ! ..." [Robert Musil L’uomo senza qualità  (traduzione di Anita Rho) Torino : Einaudi, 1962, parte III, cap. 12]



[1] Si fa qui riferimento al numero esiguo, per non dire quasi nullo, degli individui che vi si dedicano e alla mancanza di qualsiasi forma di valutazione e di sostegno da parte di organismi dirigenti.

[2] Si pensi all'apparente assenza di "prodotti" per l'elaborazione dei quali si sia fatto ricorso alla phantasia.  E’ bene ricordare, però, che a prescindere dai prodotti d’uso che, direttamente o indirettamente, sono scaturiti dalla ricerca alchemica, la phantasia e le discipline che da questa attingono si sono fatte beffe, come opportunamente sottolinea Ioan Couliano [1987 :7], di chi le ha credute scomparse, ripresentandosi oggi probabilmente sotto le vesti delle scienze psicologiche e sociali e dunque, in concreto, in alcune figure di psicanalista, di capo delle relazioni pubbliche, di propagandista, di spia, di uomo politico, di censore, di direttore dei mezzi di comunicazione di massa, di agente pubblicitario.

[3] Fonti insostituibili sono, a questo riguardo, il classico BERTHELOT Collections des anciens alchimistes grecs... Paris, 1888 e le più recenti edizioni critiche a cura di Robert HALLEUX, pubblicate da «Les Belles Lettres» a partire dal 1981.

[4] Un significativo momento nello sviluppo di questa consapevolezza è la scoperta della radioattività artificiale a opera di Frédéric e Irène Joliot-Curie (Premio Nobel 1935). Una consapevolezza senz’altro più concreta è stata quella provocata dalle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki. A questo riguardo si potrebbe opporre che trasformazioni di questo tipo sono in realtà delle distruzioni (esplosione di un nucleo instabile mediante l’aggiunta di neutroni),  mentre non si sarebbe in grado di provocare un processo inverso, tale cioè che, anziché liberare energia e diminuire la massa, produca un aumento della massa nucleare. Alle indubbie limitazioni tecniche (che non precludono però la validità teorica) per le concreta realizzazione di questo processo, si associa un limite forse ancora più potente : quello degli enormi costi che gli sarebbero legati. Se la diminuzione della massa comporta (come nella bomba atomica o nei reattori nucleari) un’enorme liberazione di energia, un aumento della massa richiederebbe un altrettanto enorme apporto di energia al corpo di massa inferiore affinché questo si trasformi in un corpo di massa superiore. Il fisico (con forti inclinazioni alla ricerca alchemica, è doveroso ammettere) Georges Ranque ha effettuato il calcolo teorico di che cosa avverrebbe trasmutando un grammo di piombo in un grammo d’oro. Secondo i suoi calcoli, a trasmutazione avvenuta si otterrebbero 0,9516 grammi d’oro, 0,0193 grammi di elio e 0,0097 grammi di deuterio ma, particolare non insignificante, l’energia da applicare per spezzare il nucleo del piombo e saldare i nucleoni del nucleo dell’oro sarebbe pari a 5118,636 chilowattora, il che, come Ranque stesso ammette, «non è affatto incoraggiante»  (per più ampi particolari sull’argomento si veda, in particolare, il primo capitolo del suo La pietra filosofale Roma, 1973).

[5] Tra la vastissima letteratura sull’argomento si possono ricordare : Alexandre KOYRE’ Studi galileiani Torino : Einaudi, 1976 ; Gerald HOLTON Thematic Origins of Scientific Thought. Kepler to Einstein  Cambridge, Mass. : Harvard University Press, 1973 ; Thomas S. KUHN La rivoluzione copernicana Torino : Einaudi, 1972 ; Charles C. GILLISPIE Il criterio dell’oggettività  Bologna : il Mulino, 1981 ;  Paul K. FEYERABEND Contro il metodo Milano : Feltrinelli, 1979 ; P.K. FEYERABEND Il realismo scientifico e l’autorità della scienza Milano : il Saggiatore, 1983 ; Marcello PERA  Scienza e retorica Roma : Laterza, 1991.

[6] La natura mentale e non empirica della sperimentazione galileiana è stata dimostrata anche per la scoperta della legge dell'isocronismo del pendolo e del principio di relatività che indica l'indifferenza dei fenomeni fisici al fatto che questi avvengano sulla terraferma o su un corpo che si muova con moto rettilineo uniforme.

[7] Isaac Newton determinò, per mezzo di calcoli teorici, una velocità di 295 metri al secondo, dato che egli vide poi smentito da alcuni esperimenti che lo orientarono a fissarne la velocità a 348 m/s (la reale velocità è invece di 340 m/s). Al fine di far tornare i conti ed eliminare la fastidiosa discrepanza tra calcolo teorico e dati sperimentali, Newton non esitò a introdurre veri e propri aggiustamenti ad hoc, come in seguito dimostrò Laplace, quali la densità dell'aria e la sua umidità.

Per una panoramica degli imbrogli della scienza (distinguendo, ovviamente, tra ipotesi fondate ma dimostrate con mezzi truffaldini o quanto meno poco scrupolosi, come nei casi citati di Galileo e Newton, consapevoli truffe scientifiche condotte a scopo di lucro, di vantaggi accademici o per screditare scomodi avversari e, infine, ipotesi false ma erroneamente per lungo tempo ritenute vere da tutta la comunità scientifica vuoi per i comuni limiti tecnici, vuoi per la sudditanza a una auctoritas) si vedano i recenti: Federico DI TROCCHIO Le bugie della scienza Milano : Mondadori, 1993 ;  Luc BÜRGIN  Errori della scienza  Milano : Bompiani, 1991 ; Ermanno BENCIVENGA I passi falsi della scienza  Milano : Garzanti, 2001.

[8] Si veda Holton 1973 passim.

[9] Dice ancora Feyerabend : L'idea di un metodo che contenga principi fermi, immutabili e assolutamente vincolanti  come guida nell'attività scientifica si imbatte in difficoltà considerevoli quando viene messa a confronto con i risultati della ricerca storica. Troviamo infatti che non c'è una singola norma, per quanto plausibile e per quanto saldamente radicata nell'epistemologia, che non sia stata violata in qualche circostanza. Diviene evidente anche che tali violazioni non sono eventi accidentali, che non sono il risultato di un sapere insufficiente o di disattenzioni che avrebbero potuto essere evitate. Al contrario, vediamo che tali violazioni sono necessarie per il progresso scientifico. [Alcuni tra i più importanti risultati della scienza] si verificarono solo perché alcuni pensatori o decisero di non lasciarsi vincolare da certe norme metodologiche "ovvie" o perché involontariamente le violarono." [Feyerabend 1979: 21]

Marcello Pera, analizzando i modi di procedere della scienza, identifica "il paradosso del metodo scientifico: la scienza si caratterizza per il suo metodo, ma una caratterizzazione precisa del metodo scientifico distrugge la scienza. [... L'] idea che esista un metodo universale e preciso con cui distinguere chiaramente la scienza dalla non-scienza è veramente poco realistica e può diventare perniciosa per il progresso scientifico. [...Le] regole metodologiche, le quali portano il peso maggiore del progetto cartesiano, presentano delle lacune perché hanno contorni rilevanti di vaghezza. E poiché tali lacune possono  essere riempite solo con decisioni personali degli scienziati [...] possiamo dire che anche la seconda tesi del progetto cartesiano (e cioè che "l'applicazione rigorosa del  metodo garantisce il raggiungimento dello scopo della scienza", nda) è insostenibile. Quelle decisioni mostrano che il fine (o i fini) della scienza non si può raggiungere semplicemente mediante un'applicazione rigorosa, impersonale delle regole metodologiche." [Pera 1991:38-9]

[10] «Il fatto che le proposte che avanzo siano influenzate da giudizi di valore non significa che io stia commettendo lo stesso errore di cui ho accusato i positivisti : quello di tentare di uccidere la metafisica lanciandole improperi. Non mi spingo neppure tanto lontano da asserire che la metafisica non ha nessun valore per la scienza empirica. Infatti non si può negare che, accanto alle idee metafisiche che hanno ostacolato il cammino della scienza, ce ne sono state altre - come l’atomismo speculativo - che ne hanno aiutato il progresso. E guardando alla questione dal punto di vista psicologico, sono propenso a ritenere che la scoperta scientifica è impossibile senza la fede in idee che hanno una natura puramente speculativa, e che talvolta sono addirittura piuttosto nebulose ;  fede, questa, che è completamente priva di garanzie dal punto di vista della scienza e che pertanto, entro questi limiti, è «metafisica». Tuttavia, pur avendo avanzato queste cautele, sostengo ancora che il primo compito della logica della conoscenza è quello di formulare un concetto di scienza empirica allo scopo di rendere l’uso linguistico, ora piuttosto incerto, il più possibile definito ; di tracciare una netta linea di demarcazione tra la scienza e le idee della metafisica, anche se queste idee possono avere favorito il progresso della scienza durante tutta la sua storia.» [Popper 1970 : 19-20]

[11] Tipica è l'affermazione di Hans Reichenbach: "Il filosofo della scienza non è molto interessato ai processi cognitivi che conducono alle scoperte scientifiche... vale a dire egli non è interessato al contesto della scoperta, ma a quello della giustificazione." Ancora più esplicita una bozza del preambolo agli Statuti della Royal Society: "Il compito della Royal Society è: incrementare la conoscenza delle cose naturali... (senza mescolarsi con teologia, metafisica, morale, politica, grammatica, retorica o logica)" [entrambe le citazioni sono in Holton 1973: 17-8, nda].

[12] Leggendo, laddove egli parla di "filosofia", ciò che Popper definisce "metafisica".

[13] «Nel secolo XVI era necessario criticare lo scolasticismo tradizionale, benché i filosofi naturali della scolastica avessero dato notevoli contributi al pensiero scientifico [...]I loro contributi di analisi su vari aspetti, cinematici e dinamici, del movimento furono straordinari, e lo stesso Galileo non poté aggiungervi molto di nuovo. Di grande importanza furono anche le sofisticate discussioni  sulla possibile rotazione della Terra attorno al suo asse, e Copernico non vi aggiunse molto di suo. Le idee medievali sull’esistenza di altri mondi, e soprattutto quelle sullo spazio vuoto infinito, ebbero un ruolo importante - che non ha avuto il suo giusto riconoscimento - nell’elaborazione del modello del cosmo costruito dalla nuova scienza. Altri pretesi contributi medievali alla nuova scienza sono controversi. Tutt’al più, si possono mostrare dei parallelismi, ma solo raramente delle influenze dirette. [...] Copernico trasse alcuni dei suoi argomenti a favore della rotazione giornaliera della Terra da testi della scolastica medievale, forse quelli di Giovanni Buridano, studiati all’Università di Cracovia sul finire del secolo XV ? Henry More e Isaac Newton fruirono indirettamente di alcune idee medievali sullo stretto rapporto fra Dio e lo spazio ? Vi furono dei contributi alla filosofia naturale provenienti anche da ambienti non universitari ? Recenti ricerche di William Newman sull’alchimia medievale e della prima età moderna sembrano mettere in evidenza  il fatto che la teoria corpuscolare del secolo XVII aveva profonde radici medievali. E sono ugualmente individuabili altri rapporti di continuità. [...] Gli argomenti a favore dell’influenza del Medioevo sulla scienza del secolo XVII continueranno a essere controversi. Ma che tutti, o alcuni di essi, siano - da ultimo - accettati o respinti è irrilevante per la tesi che difendo in questo mio studio. I legami che io suggerisco [le traduzioni di opere greco-arabe nei secoli XII e XIII, le università e i filosofi teologico naturali  quali Alberto Magno, Roberto Grossatesta, John Peckam, Teodoro di Freiberg, Thomas Bradwardine, Nicola di Oresme ed Heinrich di Langenstein, nda] sono indipendenti da ogni argomento a sostegno di questa o quella pretesa influenza, in questo o quel campo scientifico.» [Grant 2001 : 255 e seguenti]   

[14] Si pensi proprio al loro costante sforzo di trovare appoggio proprio nelle auctoritates e alla tendenza ad annullare la loro personalità individuale mediante la produzione di pseudoepigrafi, in parte certo per conferire maggiore autorevolezza alle loro opere ma in parte anche in conformità all'usanza medievale di identificarsi, anche idealmente, con un maestro o con una scuola.

[15] Si pensi appunto al loro interesse per i rimedi della medicina popolare.

[16] Anticipando di molto la consapevolezza, da parte degli uomini di scienza, della necessità di porre a confronto le idee e i risultati a cui erano pervenuti e di verificare di persona l'autorevolezza di un maestro o di una scuola, gli alchimisti medievali e rinascimentali dimostrarono una mobilità maggiore rispetto agli studiosi delle università e, soprattutto, una più spiccata attitudine a fornire la loro collaborazione ai "colleghi" impegnati nelle stesse ricerche: i testi antichi frequentemente ricordano che tra gli alchimisti che casualmente si incontravano nasceva un immediato sodalizio e che, per favorire questi incontri, si erano quasi istituzionalizzati dei luoghi di appuntamento (nella Parigi del XIV e XV secolo si trattava del portale della chiesa Saint-Jacques-la-Boucherie, da dove partivano i pellegrini per San Giacomo di Compostella, e della facciata di Notre-Dame).

[17] Non si deve però considerare questa influenza in modo acritico. L'enfasi data dall'alchimia medievale a un "sapere che nasce dal fare" e l'impiego, che spesso sconfina in un proprio e vero culto, dei libri finalizzato, diversamente da quanto avviene nelle università, a giustificare il "fare" e il "sapere" che da questo nasce, se da un lato provocano uno scossone alle forme istituzionali del sapere e le indirizzano, sebbene in modo incerto e inconsapevole, verso una maggiore apertura, dall'altro lato, come ricorda Alexandre Koyré, provocano un autentico regresso. In riferimento a Paracelso, Koyré dice: "...la dissoluzione della scienza medievale aveva provocato in lui, più che in ogni altro contemporaneo, un rinascere e un rivivificarsi delle superstizioni più primitive; la metà di quello che insegna non è che del folklore ridicolmente abbigliato con nomi bizzarri che, con gioia ingenua e infantile, inventa a ogni proposito e anche a sproposito, nomi ai quali attribuisce radici e desinenze 'latine' e 'greche', felice di poter apporre alla dotta terminologia dei suoi contemporanei e rivali una terminologia ancor più 'abracadabrante'" [Mystiques, spirituels, alchimistes du XVIe siècle allemand Paris: Gallimard, 1971  P. 80-1]

[18] Non si tiene conto ovviamente, delle scoperte che più o meno casualmente sono avvenute in seno alla ricerca alchemica.

[19] L'autore, interessandosi soprattutto alla cabala, sceglie la denominazione più generale di "mistica", laddove in queste pagine si è preferito il termine phantasia.


 

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