Review of Freemasonry



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DE VERBO MIRIFICO - Parte Prima

Considerazioni intorno alla parola di Maestro ed al Nome del grande Architetto dell’Universo così come espressi nei rituali della Gran Loggia Unita d’Inghilterra
di Bruno d'Ausser Berrau
 


tcloth1.jpg - 33843 Bytes Premessa

 

Ho voluto chiamare così questa ricerca perché tali e non altri ne sono i protagonisti: il nome è il Nome per eccellenza ovvero è la designazione di Dio nella tradizione ebraica. Tradizione, che trovandosi alla sorgente, dalla quale sono scaturite le tre religioni nate con Abramo, presenta un evidente e particolare interesse anche per i popoli, da esse stesse determinati, nel corso del tempo due volte millenario che sta per concludersi. Inoltre, per sue intrinseche caratteristiche, l’Ebraismo è portatore di elementi arcaici; alcuni di relativa evidenza, altri assai meno. Tutti però dal contenuto assai sorprendente per le possibilità da essi offerte nel far luce su aspetti remoti della storia. In realtà, sarebbe più corretto parlare di preistoria ma questo termine è spesso associato con prospettive paleontologiche non contigue al punto di vista qui utilizzato.

L’approccio al problema, partendo dai rituali massonici, è assai insolito; sia perché questi appaiono relativamente poco conosciuti, sia perché sono, erroneamente, ritenuti elaborazioni colte assai tardive. I segni invece della loro genuina antichità risaltano, con evidenza, non solo per quanto può scaturire da un esame comparato del contestuale simbolismo ma proprio - come nei particolari presi in considerazione – per la presenza di deformazioni ed alterazioni tipiche di una trasmissione per lungo tempo orale; avvenuta, inoltre, in ambiti linguistici e culturali, al fondo, lontani dalle fonti, in prevalenza semitiche, di partenza. Un patrimonio, nel suo insieme, assai diversificato; essendone conseguenza un lascito complesso: una sorgente ebraica primaria, veicolata dal primo cristianesimo, alla quale si sono poi aggiunti apporti della tradizione classica e con essa ma, soprattutto più tardi grazie agli arabi, anche componenti ermetiche (i.e. egizie), attive queste - del resto - in tutte le iniziazioni di mestiere dell’ambito europeo.

Il problema principale, sotteso al ritualismo muratorio, è la ricerca della “parola” perduta del grado di Maestro. Parola, che dovrebbe coincidere con il vero nome del Grande Architetto dell’Universo; esso è poi il nome del Creator Mundi nella particolare prospettiva dell’Ars Ædificatoria: nel seguito, si vedrà come, di parola sostitutiva in parola sostitutiva, in un gioco di rimandi, connesso alla peculiare natura dell’ineffabile, si giunga infine ad un Nome per scoprire che è anch’esso surrogatorio. Anzi, se ne scopre un nascosto, composito assetto, strettamente dipendente dalla stratificazione cronologica di eventi storici, determinanti lo stesso intimo e più profondo carattere della tradizione ebraica. Questo ho provato a fare ed anche se il modus operandi potrebbe sembrare quello di un mero lavoro d’erudizione – altri strumenti non essendoci in quest’archeologia materiæ non signata - la volontà è stata soprattutto quella di pervenire a gettare una qualche luce sulle vere radici della nostra epoca.

 

 

Sigle dei Riferimenti  Bibliografici

 

Elenco parziale dei testi consultati

 

BEJ      :            B.E.Jones; Freemasons’ Book of  the Royal Arch, Harrap, 1975

BdR     :            B. de Rachewiltz; Egitto magico religioso, Boringhieri, 1961

BGT     :            B.G.Tilak; The arctic Home in the Vedas, Poona & Bombay, 1903

CB       :            C.Benveniste; Il Vocabolario delle Istituzioni Indoeuropee, vol I, II, Einaudi, 1976

CFV     :            C.Fabre-Vassas; La bête singulière. Les Juifs, les Chrétiens et le cochon, Gallimard, 1994

Ch        :            P.Chantraine; Dictionnaire Étymologique de la Langue grecque, vol.I, t.1,2, vol.II, t.3,4,

                            Éd. Klincksieck, 1990

CS       :            C.Schmitt; Il Nomos della Terra, Adelphi, 1991

E.1       :            J.Evola; Lo Yoga della Potenza, Ed. Mediterranee, 1968

E.2       :            ibidem; Metafisica del Sesso, Ed. Mediterranee, 1969

F          :            J.G.Février; Histoire de l’Écriture, Éd. Payot, 1984

FdO       :            Fabre d’Olivet; La Langue Hébraïque Restituée, L’Age d’Homme, 1985

FEI       :            First Encyclopaedia of Islam, 1913-1936, reprint Brill, 1987

FV        :             F.Vinci; Omero nel Baltico, Ed. Palombi, 1997

GG       :            G.Garbini; I Filistei, Rusconi, 1997

H          :            J.Hadry; Les Indo-Européens, P.U.F. 1981

HC       :            H.Corbin; Corps spirituel et Terre céleste, Éd. Buchet/Chastel, 1960

HC1       :            Ibidem; En Islam iranien, 4 tomes, Éd. Gallimard, 1971

HL         :            F.Brown, S.R.Driver, C.A.Briggs; Hebrew & English Lexicon of the Old Testament, Oxford U.P.1951

HS       :            H.Shanks;Understanding the Dead Sea Scroll, Random House, 1992       

JD        :            J. Daniélou, Théologie du Judéo-christianisme, Paris, 1958

JH        :            J.Hani; La Religion Égyptienne dans la Pensée de Plutarque, Les Belles Lettres, 1976

K          :            F. Kluge; Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache, de Gruyter, 1995

KK       :            K.Kerényi; Dioniso, Adelphi, 1992

L          :            R.M.H.Luzzatto; Les Soixante-dix Arrangements, (t.I, II), Éd. Rahmal,

M           :            A.Ernout, A.Meillet; Dictionnaire Étymologique de la Langue Latine, Éd. Klincksieck, 1959

ME       :             M.Eliade; Lo Sciamanismo, Ed. Mediterranee, 1974

MMW   :            Sir Monier Monier-Williams; A Sanskrit-English Dictionary, Delhi, 1995

MS       :            M. Simon; Verus Israel, De Boccard, 1983

PV        :            P.Vulliaud; La Kabbale Juive, Éd. D’Aujourd’hui, 1976

PW.1    :            P.Walter; Canicule, SEDES, 1988

PW.2    :            ibidem; Mythologie Chrétienne, Éd. Entente, 1992

RG.1     :            R.Guénon; Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage,( t.1, II), Paris, 1965

RG.2     :            Ibidem            ; Formes traditionnelles et cycles cosmiques, Gallimard, 1970

RG.3     :            Ibid.       ; Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Gallimard, 1962

RG.4     :            Ibid.            ; Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, Gallimard, 1945

RG.5    :            Ibid.            ; Formes traditionnelles et cycles cosmiques, Gallimard, 1970

S            :            G.Semerano; Le Origini della Cultura Europea, (vol.1, t.I, II, vol.2, t.I, II), Ed. Olschki, 1984

Sh        :            G.Scholem; La Cabala, Ed. Mediterranee, 1982

Sh1      :            Ibid.        ; Les grands courants de la mystique juive, Payot, 1983     

W         :            J.S.M.Ward; The Higher Degrees of Masonry, s.d.

Z          :            Le Zohar; (t.I,II, III, IV), Éd. Verdier, 1996

 

 

Considerazioni intorno alla parola di Maestro ed al Nome del grande Architetto dell’Universo così come espressi nei rituali della Gran Loggia Unita d’Inghilterra

 

Per la priorità storica dell’Inghilterra nella moderna diffusione della Massoneria, in questo studio, nella presunzione d’avere così ottenuto una maggior prossimità all’antico, ho attinto ai testi originali facenti riferimento alla documentazione prodotta dalla United Grand Lodge. Tale antico, per me, non si ferma agli inizi del XVIII sec., epoca nella quale si costituì la Massoneria Speculativa, come, in modo riduttivo, pensano anche alcuni massoni e neppure si colloca in tempi rinascimentali, qual è opinione di altri ma si perde invece lontano, ab immemorabili, com’è del tutto naturale avvenga per qualsivoglia tradizione.

In ogni caso, a mio parere, la tradizione massonica, ancorché impoverita nella qualità degli uomini e nell’eterogeneità dei fini,[i]è autentica e, per questo, meritevole d’attenzione in quanto suscettibile di fornire indicazioni di notevole valore ove la si sappia mondare dagli effetti di una patina ottocentesca, spesso fatta di stucchevole moralismo nei paesi anglosassoni e d’aggressivo impegno politico-laicista in quelli latini. 

I rituali massonici, qui presi in considerazione, sono pertanto quello Emulation per il Craft[ii]e l’Aldersgate per il Royal Arch, il quale non è un grado a sé stante ma si colloca, pur con una sua autonomia espressa in Chapters, all’interno del Craft stesso quale estensione e completamento del grado di Maestro e pertanto non deve, in alcun modo, essere confuso con gli Higher Degrees.[iii]

Alla chiusura nel terzo grado, il Maestro Venerabile (Worshipfull Master), dopo aver ricevuto dal 1° Sorv. (Senior Warden) i segni ed ascoltato le parole di Maestro - pronunciate ad alta voce - dichiara: brethren, the substituted Secrets of Master Mason, thus regularly communicated to me, I, as Master of this Lodge, and thereby the humble representative of King Salomon, sanction and confirm with my approbation, and declare that they shall designate you, and all Masters throughout the Universe, until time or circumstances shall restore the genuines.

È quindi chiaro come Mahbenah e Mohabon - sono queste le parole ritualmente comunicate al nuovo Maestro - siano soltanto parole sostitutive, si tratta ora di vedere da quale parte cominciare per ritrovare the genuines.

Per tutte e due il rituale dà poi una spiegazione che - in quanto tale e in qualche modo – sembra attenuare l’affermazione dall’impatto più nettamente negativo che ho citato sopra: <<both words have a nearly similar import, one signifying “the death of the builder”, the other “the builder is a sacrificed man”.  Nonostante, la [iv]fuorviante e probabilmente volontaria inesattezza della traduzione, queste due frasi trasmettono però altrettanti validi suggerimenti:

Le parole, ancorché sostitutive, non sono prive di senso.

C’è, in entrambe le frasi, un richiamo al costruttore che - come spiegherò tra poco - è importante.

R.Guénon,[v]scrive che le interpretazioni, finora date, non possono trovare una corretta spiegazione perché, ove si cerchi di inserirle in <<…une étymologie hébraïque quelconque>>, si rivelano, al primo approccio, del tutto fantasiose. A questo punto c’è la precisa traccia - ancorché scontata - di doversi riferire alla lingua ebraica. Ma leggiamo ancora: <<…ce mot, [è a Mahbenah che si riferisce] en réalité, n’est pas autre chose qu’une question, et la réponse à cette question serait le vrai “mot sacré” ou la “parole perdue” elle-même, c’est-à-dire le véritable nom du Grand Architecte de l’Univers.>>.

Altrettanto, secondo logica debbo supporre, varrà per l’altra parola; quindi, essendo due quelle disponibili ed una la “parola perduta” entrambe le domande dovranno comportare la stessa risposta.

Mahbenah corrisponde assai bene all’ebraico mâh bânâh? che cosa costruisci? La risposta è evidente: il Tempio.

L’altra parola è Mohabon, per la quale posso usufruire di un altro prezioso suggerimento dello stesso autore,[vi]che scrive, in forma alquanto ellittica, <<…qu’on répondra jamais valablement à la question posée par un “mot” qui a été déformé de tant de façons diverses, question qui d’ailleurs, chose curieuse, se lit en arabe encore plus clairement qu’en hébreu: Mâ el-Banna? >> Mâ, nella lingua araba attuale, è un pronome interrogativo avente il senso di che cosa? Mentre, per gli individui, s’adopera man (chi?). È invece nella lingua aulica, che è impiegato per interrogare sull’identità personale; anzi, in alcuni passi della Scrittura, questo pronome sta proprio a designare la funzione divina di creazione.

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 Pertanto, l’equivalente ebraico di Mâ el-Banna? È my ha bonèh?  Cioè, quello che, con una leggera deformazione,[vii]è il nostro Mohabon, il quale – in entrambe le lingue – infine, significa: chi è il costruttore? Si potrebbe, qui giustamente, osservare che costruttore non è esattamente la stessa cosa di architetto ma, del resto, nell’imperfetta spiegazione qual è quella, data in via rituale e più sopra riportata, si parlava proprio di un builder e non di un architect ed in effetti, ciò che troveremo al termine di questa prima fase, non è tanto il nome del Grande Architetto dell’Universo (GADU) quanto un suo attributo. Tale disposizione è in analogia ai consueti, terreni rapporti gerarchici, dove, il costruttore è concettualmente subordinato all’architetto.

I nomi o attributi di Dio sono settantadue; le difficoltà mi appaiono pertanto minori affrontando la gamma dei sinonimi relativi a tempio. Ed essi sono essenzialmente due: hikâl e qados h.[viii]

hikâl ha, principalmente, il significato di un edificio imponente, monumentale; un palazzo insomma e soltanto lato sensu  può essere esteso ad un edificio di culto. Un’accezione propriamente religiosa è invece connessa a qadosh, lett. santo ma anche tempio, che - nel giudaismo, pel concetto dell’imprescindibile unicità del luogo di culto – non può essere che il Tempio, cui, tale ieratica ed esclusiva designazione, perfettamente, s’addice. Per più estesi riferimenti ho utilizzato lo HL, limitandomi qui a riportare come di qadosh affermi che è proprio of places set apart as sacred by God’s presence; da cui consegue che, con tale vocabolo, viene pertanto designato, e il Tempio, e – prima  di  esso    the Tabernacle and its courts   nonché,  con  l’espressione   qadosh qadoshim,  l’inviolabile Santo dei Santi.

Questa, ottemperando ai requisiti premessi, dovrebbe essere quindi la risposta nonché la parola cercata.

Mi rendo conto, come, l’immediata traduzione con santo non riesca, in italiano, ad essere del tutto congrua per la designazione del Tempio; meglio sarebbe, quindi, servirsi di santuario; però - così facendo - si viene ad attenuare la pregnanza della metonimia scaturita dalla singola risposta. L’importante, non dovendo esserci un effettivo uso della traduzione in una lingua diversa dall’ebraico, è capire a fondo il concetto che sottende l’originale. In questo senso, è utile partire dall’etimo latino della versione italiana dove il significato, indiviso nell’unico termine ebraico, si scinde in due componenti. Voglio procedere con ordine:

Sanctum è ciò che si trova alla periferia del sacrum e che serve ad isolarlo da ogni contatto, infatti quest’ultimo ha un doppio significato designando ciò che non può essere toccato senza essere contaminato o senza contaminare: mons sacer, via sacra /  auri sacra fames, homo sacerrimus.  Mentre la funzione isolante, di limes, del sanctum, è ben leggibile nel sanctuarium, nel murus sanctus ed anche nella lex sancta.

Tutto bene quindi per restituire il concetto di tempio ma capisco come possa esserci qualche difficoltà a ritenerlo un attributo del GADU, cui allora parrebbe più appropriato sacro:

<< sacer indique un état, sanctus le résultat d’un acte>>[ix]Ma come siamo arrivati all’attuale senso, anche morale, di santo? E’ un portato, storicamente ben collocabile, che ha mutuato il suo significato proprio dall’ebr. QaDoSh, nella cui radice si trova, allo stato principiale, ciò che, come ho già accennato, nel latino ha dato luogo alle due accezioni esaminate.

 E, infatti, nello HL, alla traduzione di qadosh, la dicotomia risulta ben evidente: sacredness, apartness: il primo concetto riconduce a Dio e pertanto all’Attributo, il secondo alla Casa di Dio ovvero al Tempio.

 L’esame radicale e comparato della parola (QaDoSh), mi conferma i due significati qui sopra riportati[x]nonché il suo ruolo nella corrispondenza funzionale col GADU.

 

Ambito di sacredness

FdO, per QD, scrive: <<Le point vertical, le pole, le sommet de quelque chose que se soit; le pivot, le mobile, le point sur lequel tout porte, tout roule.>>  Mentre per Sh: <<Comme image symbolique, il représente la partie de l’arc d’ou la flèche s’élance en sifflant.>>. Sembra palese che siamo di fronte all’immagine del prodursi di tutta la manifestazione da un punto o anche, in termini più “muratòri” e più consoni al contesto biblico, è l’Antico dei Giorni che, con il suo compasso, divide le acque superiori da quelle inferiori: <<... quando tracciava un cerchio sull’abisso…>>.[xi]

Ben evidente è la prossimità semitica all’accadico quddušu,[xii]essere luminoso, splendente, che, in termini concettuali ma non linguistici, richiama l’idea mazdea ed iranica della Xvarnah, la luce di gloria propria ad ogni manifestazione del divino.

In un senso più ristretto qdd è inclinarsi e qdh è un inchino; evidente riflesso della maestà connessa alla radice.

 

Ambito di  apartness

QD ha naturalmente anche il senso di separare, dividere <<…une ligne de démarcation, une fissure, une entaille; c’est en particulier, la taille de quoi que ce soit, la proportion corporelle…>> (FdO).

Per quest’ultimo ambito, c’è da mettere in evidenza come, nonostante la doppia valenza di Qadosh, esista nelle lingue semitiche un’altra serie di termini per i quali sono assai evidenti i rapporti con le accezioni di sacer piuttosto di quelli relativi a sanctus ma ritengo più proficuo privilegiare il vocabolo nel quale le possibilità semantiche sono più ampie. 

Ma ritorno ora alle nostre due domande; com’è facile constatare, sia nel sostantivo bonèh, sia nel verbo bânâh   l’elemento radicale è rappresentato da Ö bn . Qui, il FdO mi è ancora d’aiuto: <<… cette racine développera l’idée d’une extension génératrice … d’une émanation … elle sera le symbole de toute … manifestation de l’acte générateur … dans un sens propre c’est un fils, une formation, une corporisation, une construction.>> In essa, si trova pertanto, in nuce, quello che se ne svilupperà ossia: dal piano dell’idea a quello della concretezza dell’edificio. Dal suo fondersi con la Ö yn - <<… toutes les idées de manifestation particulière et d’être individuel>> - consegue Ö byn ® bynâh: <<L’intelligence; ce qui élit intérieurement et dispose les éléments pour l’édification de l’âme.>>.

Questo percorso mi ha così portato a trovare la ragione profonda di uno di quelli che, per travisamenti secolari, sembrerebbe poter classificare tra i luoghi comuni di un certo moralismo massonico: la costruzione del Tempio interiore.

Il rapporto tra il Manifestato ed il suo Principio sono illustrati, nella tradizione ebraica, dall’Albero Sefirotico (da Sephiroth,: numerazioni), il quale gioca un ruolo fondamentale in quell’esoterismo. Esso   e n u m e r a  appunto dieci “categorie”, disposte secondo un impianto tripartito, dalla forma d’ideogramma geometrico mentre il Principio dell’intera costruzione ha un ruolo matematico e, a maggior ragione, metafisico di zero: è l’Inconoscibile o Ayn-Soph ( lett. senza limiti) che sovrasta lo schema standone però all’esterno.

La    terza di dette categorie è   la   nostra   bynâh,    l’Intelligenza.   Ciò, che   qui, particolarmente, m’interessa è l’abbinamento,  attuato   dalle   dottrine   cabalistiche,   tra   le   Sephiroth   e  le  più diverse  serie  concettuali   d’ordine

teologico,   cosmologico  o  morale. In  tale  prospettiva,  è  importante  vedere  con  quali  conseguenze,     concependo

l’  e n u m e r a z i o n e  come progressiva manifestazione d’alcuni  nomi  di Dio, a bynâh  risulti appaiato il Tetragramma YHWH .[xiii]A conferma, nel Decalogo, è il terzo enunciato, che ha come tema il Nome : <<Non pronuncerai invano il Nome del Signore, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il Suo Nome invano>>.[xiv] Ed è noto che tale compito fosse riservato - una volta l’anno, nel giorno dello Yom Kippur - soltanto al Sommo Sacerdote.

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Resta, ora, da trovare la non ancora individuata identità dell’Architetto, che concepisce il progetto poi attuato dal Costruttore. Per far questo debbo tornare ai rituali, dei quali rimane da esaminare quello del Royal Arch, che, come ho già scritto, è il completamento del grado di Maestro ed al quale si accede attraverso un rito che ha nome Exaltation. Al termine di esso, al Maestro “esaltato” viene espressamente rivelato il vero nome del GADU che è, appunto, il Tetragramma. Quindi i rapporti gerarchici, tra Square Masonry ed Arch Masonry, risultano – sempre per legge d’analogia - un riflesso di quelli esistenti tra uno dei nomi o attributi e quello che è il Nome ovverosia <<…l’Hiérogramme du Grand Architecte de l’Univers>>.[xv]

Per altro, attraverso una delle operazioni alfanumeriche della Cabalah, a bynâh è attribuito il valore di 50,[xvi]il quale coincide con il risultato della somma dei quadrati dei lati del triangolo rettangolo (di proporzioni 3 / 4 / 5)[xvii]su cui si basa la Master’s square: è pertanto all’Intelligenza che si rapportano – come dimostrano tutte queste, sottese relazioni - sia la Square, sia l’Arch Masonry, trovando in essa attinenza qualsiasi opera costruttiva a qualsivoglia livello ontologico la s’intenda intraprendere.

Per completezza, debbo aggiungere che, alla  Sephira  bynâh,  è anche collegato il nome alôhym e  per   esso, come suggerito da Gen. 1.1 <<Berashit bera Elohim…>>,[xviii] si perviene ad una stretta rispondenza con la prima parola della Torah: Bérashyth, in principio. Poi, attraverso questa, dalla scissione in due componenti, nasce un nuovo significato: Béra  Shyth, Egli crea sei. È così, significativamente, mostrato il determinarsi delle sei direzioni dello spazio.

Come si può vedere, siamo sempre in piena cosmogenesi; in effetti il collegamento, di alôhym e bynâh con il Tetragramma, è quello che si ha quando la Presenza/Potenza (Shekina), di Dio  si manifesta ed opera in questo mondo ed il testo biblico, nell’originale ebraico, fa apparire evidente questo ruolo <<..è detto, Elohim che la luce sia ! E la luce fu>> [xix] Tale Fiat Lux primordiale ha la sua corrispondenza microcosmica nel processo iniziatico in quanto - mentre il primo determina l’ordinamento del caos quest’ultimo produce un’analoga rettificazione nel composto individuale del neofita o Entered Apprentice.

Adesso, ritengo che si possa stabilire quale sia la corrispondenza massonica degli Elohim creatori: se esamino questo nome – che è, appunto, un plurale - constato come, sempre lo Zohar, lo metta in relazione con il settenario, completando in tal modo il nesso già rilevato con le direzioni dello spazio. Esse – diciamo così – si riassumono nel  centro da cui originano ed è quindi, in definitiva, esso stesso ( che è poi un loro: gli Elohim), il soggetto della frase: Egli crea sei. Ciò facendo, determinano il settimo e principale componente nella croce a tre dimensioni che, secondo i modi della geometria descrittiva, le rappresenta.[xx]Ma per formare una Loggia e poter quindi trasmettere l’iniziazione sono necessari sette maestri, i quali saranno così - in piena armonia con tutto il simbolismo cosmologico del Tempio - la proiezione terrena di quel consesso celeste.

Torniamo ora al Nome, sul quale il rituale dell’Exaltation ci riserva ulteriori informazioni: al termine of the legend that deals with the “discovery” of the lost secrets at the re-building of the Temple after the return from the Captivity, viene scoperto (è letteralmente nascosto da un velo) il Nome del GADU.  Di fatto, la cosa si presenta più complessa: c’è sull’ara la rappresentazione di una circonferenza, nella quale è inscritto un triangolo equilatero. Nella parte superiore, della circonferenza, sta scritto Jehovah, sui lati del triangolo, spezzata in tre parti, si legge la parola Jah-bul-on. In corrispondenza dei vertici si trovano le lettere !, ", -.[xxi]Di tutti questi elementi esaminerò in particolare il primo perché del Tetragramma YHWH, oggi, come si sa, la pronuncia generalmente accettata concorda per il convenzionale Iahveh pur non escludendo che in antico essa fosse diversa. Questo suggerimento rituale, appare invece confermare un’indicazione del simbolismo, che fa ritenere come, quella originaria e supposta perduta fosse, appunto, Jehovah; consonante, d’altronde, con l’altro, più insolito Nome di Jahbulon. Quanto alle tre lettere ebraiche, con le quale si esemplificavano interessanti combinazioni, esse non compaiono più per precise ma non chiarite disposizioni[xxii]del Supreme Grand Chapter. Ma torniamo al problema della pronuncia; a favore della seconda dizione del Nome debbo fare anche questa considerazione: la forma della lettera yod  è quella geometrica di una piccola squadra e pure una squadra è la gamma  maiuscola; entrambe, nel simbolismo e in antichi rituali, sono associate alla G la cui pronuncia può essere gutturale come in God – dove l’assimilazione fonetica a “yod”  era, in inglese, espressamente voluta (Yah[xxiii] è uno dei nomi) – oppure dolce come in Geometry (the fifth science secondo l’enumerazione delle sette arti liberali) ma in ogni caso è sempre detto che essa stands for God.

Ora, parrebbe d’esser giunti al termine della quête avendo, secondo il diligente investigare sin qui condotto, trovato sia la Parola, sia il Nome; infatti, riepilogando: qadosh è l’Attributo di  BonèH,  il Costruttore e qadosh è la  vera parola   del grado di Maestro. Il Costruttore è poi ipostasi di YHWH, ed il Tetragramma, con la pronuncia Jehovah, è pertanto il Nome dell’Architetto ovverosia del GADU, Nome e pronuncia che sono rivelati nel Royal Arch al completamento della Maestria.

Ma la via iniziatica ha sue specifiche caratteristiche ed anche se attentamente percorsa con gli strumenti dell’erudizione, è necessario tenerne conto. Pertanto, nonostante quanto acquisito, il viaggio non è giunto al suo termine: cosicché, collocando il punto di vista ad un livello superiore di realtà, l’orizzonte si allontana ulteriormente. Infatti, ogni forma tradizionale e, di conseguenza, ogni lingua sacra che la supporta, non sono, essi stessi, altro che sostituti della Tradizione Primordiale una ed indivisa come pure della lingua originaria anch’essa unica e comune a tutta l’umanità. Dobbiamo quindi avere ben presente che siamo, ancora una volta, di fronte a termini sostitutivi. Del resto, il reale raggiungimento dell’obiettivo implicherebbe l’aver conseguito la pienezza della realizzazione e questa – appartenendo per sua stessa natura all’ineffabile – comporterebbe l’incomunicabilità della “parola ritrovata”, a maggior ragione poi attraverso uno scritto.

Nell’ambito iniziatico del mondo classico, cui la Societas Latomorum è debitrice per quel filum che la lega ai Collegia Fabrorum,   questi   ultimi,   in   quanto   organizzazioni   artigianali,   appartenevano   ai   “piccoli misteri” e - a chi vi militava - si poneva, come meta della realizzazione spirituale, il raggiungimento della condizione di “uomo primordiale” ovvero, secondo la terminologia cristiana, il superamento degli effetti della “caduta”.

È quindi evidente come nel Tempio non possano mancare gli accenni alla Tradizione Primordiale; in altri termini alla fase iniziale di questo ciclo di umanità, la sede della quale - il berceau originario - elementi concordi, presso le più diverse tradizioni, collocano - per quanto ciò possa apparire singolare - in posizione artica.[xxiv]

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Tale localizzazione, di fatto, risulta in Loggia con tutta evidenza: ancor oggi, quando l’ambiente dedicato a quest’uso è arredato e composto secondo le prescrizioni, dovrebbe esserci una volta stellata ed inoltre dovrebbero essere esposti i segni zodiacali e messi intorno alle pareti sì da riprodurre la situazione che si ha ponendosi esattamente sul Polo. Da questa posizione sommitale sul globo terrestre, lo Zodiaco appare dietro al cerchio dell’orizzonte di modo che, quest’ultimo viene a coincidere con l’Equatore celeste; quindi, per l’esattezza, nella realtà geografica, esso emerge per la metà superiore, cioè sino al Tropico del Capricorno in guisa che, l’altro settore della fascia, quello limitato a Sud dal Tropico del Cancro, resti nascosto alla vista.  Anzi, nel Tempio degli Operativi, l’ambiente artico era ancor più leggibile essendo la Polare posta al centro della volta quale <<siège effectif du Soleil central, caché de l’Univers, Yah[xxv] >> e la G si ritrovava inscritta o circoscritta ad essa. In quest’ultimo caso, era invece inscritta la yod e, dal tutto, calava, fino al pavimento, un filo a piombo, che terminava al centro di uno swastika formato da quattro gamma maiuscole ( a forma di L rovesciata), riproducenti il movimento (senso antiorario) delle due Orse[xxvi]e di tutto il firmamento intorno alla Polare nel corso delle ventiquattro ore. Questo è il senso del moto celeste che - anche alle nostre latitudini - risulta tale ove lo si osservi volti a Settentrione mentre con la direzione rituale[xxvii]ad Oriente (cristiana e massonica) lo spostamento ci appare essere quello delle lancette dell’orologio ed è il Sole, più  che  le  stelle, a dominare la scena.  Non a caso le Soleil central caché… è Yah ed è rappresentato dallo yod, che avendo appunto, in piccolo, la forma speculare a quella della gamma maiuscola ( a forma di L rovesciata) corrisponde all’altro senso di rotazione dello swastika : giustamente quello solare.

Naturalmente questi sensi di rotazione hanno una serie di “ricadute”: ad essi corrisponde il movimento di deambulazione in Loggia e per analogia, in un contesto sacrale più ampio, quello intorno ai luoghi di culto,[xxviii]fino a definire l’andamento della scrittura in vari ambiti culturali.

A riprova di quanto sia forte l’interna coerenza di tutto il simbolismo tradizionale, mi è utile sottolineare che, avendo in precedenza[xxix]messo in rilievo (per la cosmogonia ebraica, a proposito della croce a tre dimensioni) una prima relazione tra lo spazio ed il tempo, egualmente, essendo ora pervenuto ad un esame dello swastika  ed avendo esteso l’indagine all’Induismo, indottovi dal nome stesso del simbolo, posso individuarne una seconda. Nel Genesi, al succedersi dei giorni, c’è una formula sempre ricorrente che è lecito definire d’approvazione e pertanto di benedizione dell’opera compiuta: <<…and God saw that it was good>> ovvero ky tôb.[xxx]

Per elementari cognizioni di geografia astronomica si sa che il volgersi, nello spazio del cielo polare, dei due suddetti asterismi, produce una completa rotazione nell’arco delle ventiquattro ore. Rotazione, appunto, plasticamente raffigurata dallo swastika; si marca così, ad ogni giro, il transito da un giorno al successivo. Infatti, viene parimenti ripetuto: <<E fu sera e fu mattina>>.[xxxi]Ebbene, in skr. swastika    che è di per sé segno di <<good luck>> - può divenire , se sono utilizzati <<the Asoka characters>> ,   il  monogramma  di  sw-astì  il  cui   senso è  reso dal benedicente  <<may it be well with thee !>>. Se poi prendiamo il sostantivo composto swastivâcana, troviamo che trattasi di <<a religious rite…performed by…invoking blessings by repetition of certain Mantras>>;[xxxii]proprio l’esatto corrispondente dell’iterativa formula biblica. Trovo davvero suggestivo pensare come un tempo questa benedizione divina potesse quindi, letteralmente, leggersi nel cielo.

Tali precisazioni, sia detto per inciso, tolgono ogni significato a tutte quelle strane fantasie, nate dall’arbitrario contenzioso politico sorto, per le note ragioni, riguardo allo swastika, che lo vorrebbero buono o cattivo a seconda del suo senso di rotazione e chiariscono invece il significato fondamentalmente cosmologico che gli è proprio.

Questo detto – stante la posizione assiale del Polo nel mondo terrestre - risulta evidente perché la Camera di Maestro venga detta Camera di Mezzo (the middle chamber) ed anche si comprende perché il Tempio – inteso in un’accezione universale - dovrebbe essere a pianta quadrata (Square Masonry) proprio per la simmetria di quella figura rispetto al suo centro. Il cerchio (cupole ed archi competono alla Arch Masonry) attiene al cielo mentre il quadrato alla terra; ne consegue che – tra i numeri - il quattro si rapporta all’aspetto sostanziale della manifestazione, dando luogo, nella concretezza dell’edificio, all’alzata cubica che potrà o meno essere culminata da un assetto architettonico derivato from a circle’s development, a sua volta sensibile aspetto della relazione tra cielo e terra.

Un semplice cubo è difatti la Kaaba ed un cubo era il Santo dei Santi ma l’allontanamento, non solo geografico, dal Polo ha provocato una specie di compromesso; pertanto l’attuale planimetria della Loggia, di proposito, non è descritta come un rettangolo ma come a double square.  Con questa duplicazione, si è ottenuta, per l’allungarsi della figura, una direzione (qibla), che - non potendo più lo spazio sacro incentrarsi sulla proiezione del “sole zenitale” - è ormai quella volta a Solis adventus, caratteristica di più basse latitudini. Quindi, sul lato corrispondente all’aurora, dietro al Venerabile - a ragione dell’immutata posizione dello zodiaco astrologico, che ha “dimenticato” di tener conto degli effetti del moto precessionario - è ancor oggi indicato il segno dell’Ariete - asterismo   in   cui   sostava    il   punto   vernale   in   epoca   salomonica  (-968 / -928)  - cioè  esattamente  l’equivalente grafico di una lettera gamma minuscola; piccola, appunto, come piccola è la square dello  “Yod“ ed entrambi, contrassegnati da una relazione col sole da intendersi, quindi, sostitutiva di quella polare originaria.

Quest’indagine sulle caratteristiche del Tempio, mi ha permesso di meglio illustrare le relazioni tra Yod /  Gamma / G, ottenendo così un’ulteriore conferma riguardo alla pronuncia di YHWH; inoltre – nel sottolineare l’importanza di Yah, - viene messa in luce un’evidenza alla quale farò ancora cenno a proposito del significato insito nello stesso Hiérogramme du GADU.

Parimenti interessante è un’altra connessione esistente tra il Nome ed il Tempio: l’architettura cubica di base, oltre a poter essere sovrastata da una cupola, può esserlo anche da un dôme piramidale com’è verificabile per alcune chiese e per molti campanili. Questo solido, che sul piano diventa un quadrato sormontato da un triangolo, è un simbolo presente in molte Logge ed è chiamato broached thurnel” ma il termine italiano “pietra cubica a punta” m’appare, descrittivamente, più esatto. Quand’esso è riprodotto in immagine, vi è inscritto il Tetragramma, il quale è scomposto in modo che lo Yod  risulti posto al centro del triangolo mentre le rimanenti lettere  HWH sono collocate nel quadrato. Più sopra, abbiamo visto come, al quattro, corrisponda l’aspetto sostanziale del creato mentre, al mondo dello spirito, afferisce il tre e come entrambe le cifre siano congruamente rappresentate nei due poligoni (triangolo + quadrato) e nel modo in cui questi sono disposti per formare la figura in esame.

Inoltre, se tengo conto delle corrispondenze esistenti tra le lettere ed i numeri nell’alfabeto ebraico, risulta per l’intero Nome il valore di 26: in questo totale, 10 deve essere attribuito allo  Yod ,[xxxiii]che è appunto l’essenza del Nome stesso mentre per le altre lettere si ottiene una somma pari a 16 ovvero il quadrato di 4 , cioè l’area della superficie su cui sono tracciate. Queste attribuzioni, per le concordanze con il mondo classico presenti in Loggia, trovano conferma nel pitagorismo: in esso, il valore riassuntivo (essenziale) del   10   rispetto alla substantia del   4   - a sua volta rappresentato dalla Tetratkys: 1 + 2 + 3 + 4 = 10 - è testimoniato da un’altra rappresentazione della stessa figura nella quale, al posto delle lettere ebraiche, si possono trovare punti geometricamente distribuiti: in n. di 10 nel triangolo ed in n. di 16 nel quadrato.

Il senso sotteso al simbolo è pertanto da intendersi come se fosse la forma stessa del Tempio a proclamare il nome GADU.  La pregnanza di esso è tale che i massoni letteralmente se ne rivestono: in the English version del grembiule

 – quadrato con bavetta triangolare – l’identità con il disegno in argomento è perfetta se si considera che, the Entered Apprentices should wear their aprons with the bibs up.

 Più sopra, ho fatto riferimento all’illusorietà di un raggiungimento della Parola e del Nome definitivi; ebbene, si deve ora accettare e prendere atto di come, anche YHWH, rimandi, a sua volta, a qualcosa di diverso e che, <<…suivant l’interprétation la plus autorisée et la plus plausible, il s’agit en réalité d’un mot composite, formé par la réunion de trois noms divins appartenant à autant de traditions différentes>>.[xxxiv]Del resto, un suggerimento che questo fosse il modo di procedere nell’interpretazione, appariva implicito nella suddivisione del secondo Nome – Jahbulon - sui tre lati del triangolo.

In effetti, quando i Tre Principali del Royal Arch, si comunicano la Parola – in entrambe le varianti è, appunto, un Tetragramma per la sostanzialità d’ogni scrittura (in analogia con supra; a proposito del numero quattro) - lo fanno in modo assai singolare e spezzandola in tre sillabe (Je–ho–wa e Jah-bul-on )[xxxv]e questo poiché la voce, veicolo del Verbo e quindi dell’essenzialità, si rapporta, a sua volta, al tre nel simbolismo numerico.

La rappresentazione della specifica leggenda dell’Exaltation è incentrata sul secondo Tempio, cioè after the return from the Captivity e pertanto i Tre Principali rappresentano:

Zorobabele, come Re (figlio di Sealtièl, guidò una colonna di esuli al ritorno da Babilonia: -520, tutti e tre 

                     i personaggi sono contemporanei);

Giosue, come Gran Sacerdote, (figlio di Jozedàc);

Aggeo, come Dottore della Legge, (profeta).

Ma, dalla leggenda iniziatica del grado di Maestro ci è noto come il segreto della Parola fosse custodito dai primi tre Grandi  Maestri; <<…Our Master [Hiram], true to his Obligation, answered that those secrets were known to but ..[only three persons]…in the world and without the consent and co-operation of the other …[two]…he neither could  nor would divulge them…>>. Ed essi erano:

Salomone,

Hiram, Re di Tiro e

Hiram Abi, l’Architetto, quest’ultimo però, negli Old Charges, non è mai chiamato così bensì Amon che in ebraico significa, infatti, artigiano.

Quindi le connessioni con le tre traditions différentes sono:

 

per la componente   Je-  e Jah-  

Je-  e Jah-  è il precitato Yah ma è la stessa lettera  yod , che costituisce in sé un nome divino. Questo, rapportandosi a Salomone, sembra la più diretta espressione della tradizione ebraica e soprattutto, da questa, della Tradizione Primordiale. Ma andiamo con ordine: dello “Yod“ viene detto essere formato dall’unione di tre punti corrispondenti alle tre middoth supreme ed inoltre – a motivo del suo geometrico disegno - si afferma che da esso, per combinazioni, derivino tutte le altre lettere dello squadrato alfabeto chiamato caldaico[xxxvi](cfr. infra, punto 2.) Il suo valore numerico è, lo abbiamo già visto, 10 pari appunto alle Sephiroth, a loro volta espressioni di tutto il manifestato.[xxxvii]La   sua   trascrizione in lettere latine è I e << …I s’appellava in Terra il sommo Bene…>>[xxxviii]dice Adamo, riferendosi ai tempi edenici ossia proprio alla Tradizione Primordiale - per la quale cfr. MMW, il skr. Îsh, master, Lord, the Supreme Spirit[xxxix] - mentre Francesco da Barberino nel suo Tractatus Amoris - in un’incisione -  si fa raffigurare in adorazione della lettera I.[xl]Del resto, perché non supporre che la nostra forma Iddio sia da intendersi <<I [י]: Dio>>, evidente ri-velazione di un Nome?

In questa componente i due Nomi coincidono.

 

per le componenti   -ho- e –bul-

-ho-: si rapporta ad Hiram, Re di Tiro, che ebbe tuttavia un ruolo nella costruzione del Tempio. Il suo nome, probabilmente per influenza del racconto biblico, è stato poi trasferito, con l’avvento della Massoneria Speculativa, all’Architetto sostituendosi così al nome originario che era appunto Amon (cfr. supra p. 8 et infra, punto 3. ). L’allusione ad un Re straniero anche se prossimo e di un regno posto a Nord della terra d’Israele, sembra ricondurre alla tradizione caldaica dalla quale sorse l’ebraismo come viene suggerito dal racconto d’Abramo sortito da Ur per dare inizio alla sua fatale migrazione. A conferma,[xli]abbiamo l’accadico ha’atu:  watchful, said of gods and demons ed ancora  hâtu: to watch over, to take care of ma anche hadû:  joy. Per quest’ultimo è da notare la curiosa convergenza con ¬dßV  e la parallela relazione semantica esistente tra God  e Good.

–bul-: anche in questo caso il riferimento settentrionale è dominante, sia perché, nella forma ba´al, it seems to have been used, as divine name, in Northern Kingdom of Israel (HL), sia perché il termine, di generale radice semitica, con il senso di rule over, be lord, era diffuso in tutta l’area; dalla terra di Canaan all’Assiria (cfr. acc. Bêlu) quale nome di divinità. Per tutti questi motivi – il rigetto di Ba´al, nella Bibbia è ripetuto innumerevoli volte - è assai strano trovarlo nel nostro contesto e, forse, l’alterazione vocalica (a ® u) potrebbe essere stata volontaria proprio per dissimularne, in qualche modo, l’identità. In ogni caso, il legame con la componente –ho-, apparentemente più “ortodossa”, è evidente anche nel riferimento a Tiro; città dove il dio era chiamato Ba´al Melqart ovvero, letteralmente, Re della Città.     

 

per le componenti   -wa e -on

-wa: si rapporta ad Amon, l’Architetto del Tempio; la radice è la stessa di Amen che esprime <<en hébreu comme en arabe, les idées de fermeté, de constance, de foi, de fidélité, de sincérité, de vérité, qui s’accordent fort bien avec le caractère attribué par la légende maçonnique au troisième Grand-Maître>>[xlii]. Inoltre è immediato metterlo in relazione con l’omonimo dio egiziano che ha invece il senso – pur esso non contraddittorio al contesto - di misterioso. Per tutto ciò, appare evidente come Wa debba riferirsi a quest’ultima tradizione dalla quale l’Ebraismo ricevette sicuramente notevoli apporti ed il collegamento risulta soddisfacente per Wsir che è il “nome reale” di Osiride. Nel nostro caso Wsir sarebbe l’egiz. Ws – iri, ovvero onniveggente, che – quale attributo divino - risulta accettabile. Oltre a ciò ho anche trovato per la Ö wsr  il senso di potenza e per la Ö wr [xliii]quello di grandezza ed essi pure ben si integrano al precedente attributo, sembrando semmai l’ultimo prevalere sugli altri per contenimento.

       In Plutarco,[xliv]si trovano - a proposito di queste relazioni - alcune interessanti notizie:

        * <<…il est interdit aux dévots d’Osiris (puisqu’il est le même que Dionysos) détruire aucune arbre           

          cultivé…>>,[xlv]

        * <<C’est tout d’abord le caractère tauromorphe qui constitue la preuve de l’identité d’Osiris et de

  Dionysos..>>,[xlvi]

        * <<…Dionysos, qu’une opinion alors[xlvii] répandue pensait identique au dieu des Juifs>>.[xlviii]

Tutte e tre queste affermazioni rimandano a Dioniso ma non mi sembra il caso d’approfondire ora questo aspetto; qui mi limito a quelle connessioni che esso comporta con l’argomento. C’è da dire intanto che, dalla terza di esse, ho conferma delle equivalenze esistenti: Dionisio º Osiride = Wsir º Wa delle quali, s’aveva, evidentemente ancora e in qualche modo, contezza sino all’epoca ellenistica. Poi - nelle altre - trovo una qualche giustificazione di tre momenti d’idolatria del popolo d’Israele: enigmatici i primi due, dovuto invece alla conquista straniera il più recente.

 * Noto è quanto avvenne ai piedi del Sinai[xlix]mentre Mosé sul monte incontrava YHWH, che già - nell’episodio del roveto ardente[l]- gli si  era  manifestato  come  Essere [li]il popolo, nell’attesa, Lo (direi che il destinatario è lo stesso ma è il modo che non è più accettato) adora come idolo tauromorfo.               

 * L’altro episodio è successivo e risale Re Roboamo (-931 / -913), che sull’esempio del Regno settentrionale permette che alberi e pali sacri divengano oggetti di culto, sino a che il Re Giosia (-640 / -609), nell’intento di purificare i costumi religiosi, fa togliere e distruggere vari oggetti introdotti nel Santo dei Santi e tra essi appare appunto un palo sacro (2Re, 23.6) mentre, sui monti intorno, ordina vengano abbattuti altari, boschetti ed alberi sacri. Anche qui, come nel caso precedente, sembra che manifestazioni di culto, un tempo del tutto regolari, siano poi percepite come idolatriche: all’epoca di Giosue (metà del XIII sec. a.C.) è detto esplicitamente <<…the oak which is in the sanctuary  >>.[lii]Quella quercia la ritroviamo – pur se in un ruolo di minor valenza – in numerosi altri riferimenti scritturali.[liii]Però, la cosa più sorprendente è che the oak in ebr. è alh ovverosia pressoché identico ad Al, il quale è uno dei nomi ma era il Nome tout court presso i  Cananei e che si trova, infine, alla base proprio di quell’enigmatico plurale alôhym precedentemente indagato.

 * Nell’ultimo fatto, l’elemento strano è che Dioniso è ancora protagonista:   Antioco IV Epifane    (-175 / -164), nel –167, in conformità a tutta la politica ellenizzante della dinastia dei Seleucidi,  impose che il 25 Kislev, data del suo compleanno, il dio fosse festeggiato; però, questo ed altri più gravi episodi di carattere sacrilego non furono accettati dalla maggioranza della nazione e contribuirono, in seguito, ad innescare la rivolta dei Maccabei.

-on : il riferimento è, anche in questa circostanza, da ricercare nello stesso ambito geografico; ma, a differenza di quello che possono pensare alcuni autori di studi massonici,[liv]non è qui, a mio parere, il caso, (ne mancano i presupposti linguistici) come per la componente –wa, di riportarsi all’<< Egyptian god Osiris>> ma, piuttosto, all’enigmatica fase “monoteistica” di quella tradizione, che trova i suoi inizi tra quei sacerdoti di Heliopolis, i quali fecero del simbolo solare On (or Aton; an ancient name for the physical sun, that was employed to designate him.) il centro del loro culto. Culto, che ebbe poi valenza totalizzante per l’intero paese nel - per tanti versi misterioso - regno del Faraone Akhenaton, al cui riguardo, sono note le supposizioni d’appartenenza al popolo ebraico. Questo suffisso ricompare curiosamente anche nei toponimi Gabaon, GaBiON e Aialon, AYaLON] che sono relativi ai luoghi nei quali avvenne il famoso episodio (Gs. 10.12) della battaglia, durante la quale, Giosue, per conseguire la vittoria, chiese a Dio di fermare il sole. GaBi, ha il senso di convex, high; un colle insomma mentre AYL, è, significativamente help: Aialon potrebbe dunque leggersi come <<l’aiuto del sole>>. Gabaon ha poi avuto un uso massonico ben preciso, essendo stata indicata, fino agli anni ’80 del XIX secolo, nei rituali francesi, come <<la dénomination mystérieuse des Maîtres>> mentre in alcuni, attuali rituali inglesi, accompagna il segno di riconoscimento del secondo grado. Non può essere infine trascurato che, Aton avesse anche un nome dal netto sapore ebraico: Yati.[lv] Ma, ciò che più stupisce, è che nessuno, a mia conoscenza, abbia ancora messo in evidenza come un nome di Dio, quello di norma pronunciato, sia Adonai ovvero ADON, Signore, la cui eguaglianza con l’appellativo egizio appare immediatamente. È evidente come tutto quest’ordine di possibilità meriti d’essere particolarmente vagliato anche perché le tracce massoniche tendono a confermare l’ipotesi ebraico-eliopolitana; tale indagine porterebbe però oltre gli intenti del presente lavoro.

Lo sviluppo di questa parte finale, relativa agli elementi costituenti la tradizione ebraica, è di notevole importanza, in specie per comprendere gli apporti, che hanno determinato il formarsi dell’assetto religioso delle culture egemoni nel ciclo di civiltà cui noi apparteniamo.

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NOTE



[i] Non deve però essere trascurato il lato “benefico” della casualità del reclutamento massonico: esso ha comportato, e tuttora permette, un aumento delle chances di sopravvivenza, nei tempi ultimi, dell’intera Istituzione

[ii] L’Ordine, nella terminologia italiana.

[iii] I Riti, nella stessa terminologia.

[v] RG.1, t.II, p.37-38

[vi] Ibidem,  t.I,  p. 128.

[vii] Come faccio cenno nella prefazione, queste deformazioni, sono frequenti; un’altra, caratteristica è quella relativa al cappio che sta intorno al collo del candidato all’iniziazione. In ing. è chiamato cable-tow. Questo deriva dalla deformazione, per assonanza, dell’ ebraico qïbolty, ho ricevuto; stesso etimo di Qabalah, vedi infra, n. 58] da cfr. con l’ar. qabeltu [ammissione, accettazione nel tasawwuf], relativo all’impegno iniziatico.

[viii] Potrebbe essere obiettato di considerare anche una terza denominazione: beyt hamiqadosh  la casa del luogo santo ma essa è chiaramente solo una semplice amplificazione di qados h.

[ix] M

[x] A conferma, la variante qadesh ha, appunto il senso di rigettato ovvero l’equivalente di homo sacerrimus.

[xi] Pr.8.27.

[xii] S

[xiii] Sh, p.133.

[xiv] Es.20.7.

[xv] RG.1, t.II, pp.47, 48

[xvi] L, p.197, n.34.

[xvii] Inoltre la loro somma ha, quale risultato, 12 come i segni dello zodiaco, che circondano le pareti della Loggia  (cfr. infra, p. 6) e come i componenti di un centro spirituale. Per questa squadra, si dà un’altra curiosa coincidenza; essa – con le sue proporzioni – è anche la L dell’alfabeto romano nel quale ha, di nuovo, il valore numerico di 50, in ciò confermando l’impressione visiva di un’originaria impostazione geometrica delle lettere in questione.

[xviii] Cfr. Z, t. I, 23b-24a.

[xix] Gen.1.3

[xx] Mentre viene creato lo spazio e ciò che contiene, sorge anche il tempo ( i giorni) egualmente ordinato dalla relazione  6 + 1  con la differenza che l’analoga funzione “riassuntiva” del centro, viene - nella modalità temporale - a collocarsi logicamente per ultima come riposo: il riposo sabbatico. 

[xxi] La ! è posta in alto quando le altre due lettere stanno agli estremi della base: - a sn. e " a dx. Le tre lettere possono essere considerate isolatamente oppure assemblate in due gruppi; l’uno di sei combinazioni, due a due e l’altro di altrettante, tre a tre. Molto sinteticamente, i concetti dei riferimenti radicali sono i seguenti:

1.       ! un principio, " il dimorare, - l’allontanarsi, l’espandersi, l’elevarsi

2.       !" progressione, -" espansione (è anche un nome divino), "! generazione, -! elevazione (altro nome divino), "- animazione, vitalità, !- deprivazione

3.       -!", !-", -"!, "-!, !"-, "!-: queste combinazioni precisano ed a volte puntualizzano, anche con parole di senso compiuto, i concetti precedenti. Ad esempio -"! significa lutto, cioè il contrario [- allontanamento] della generazione ["! ossia  "!+ -] mentre  !"-  è cuore.                                                                                                                                                                           

[xxii] Febr.1989. Debbo aggiungere come, oggi, nemmeno Jahbulon  sia più presente sull’ara e questo, sembra, per mero rispetto umano a ragione degli equivoci che le esotiche assonanze di un termine desueto provocavano in alcuni timorosi ed ignoranti massoni nonché nei soliti malevoli, i quali ne traevano occasione per fantasiose ed oscure illazioni.

[xxiii] <<Warrant and certificates issued by the First Grand Chapter in the pre-1813 period [ prima dell’Unione tra Antients e Moderns]  often bore the words:”In the name of the Grand Architect of the Universe, the Almighty Jah”>>:

BEJ, p.153.

[xxiv] Cfr. BGT: deve essere qui fatto presente – quale semplice cenno - che la tradizione Indù rappresenta, in specie nel suo nucleo vedico, la più diretta filiazione della Tradizione Primordiale.

[xxv] Uno dei Nomi, cfr. supra, n.22.

[xxvi] Una delle tracce del remoto, comune possesso di certe cognizioni è nel virgiliano <<…tibi serviat ultima Thyle…>> (Georg. 1.30), dove è citato quello che fu uno degli appellativi del centro spirituale primordiale. Esso, posto alla massima latitudine aveva allo zenit la costellazione da cui traeva nome: infatti in skr. tula è la bilancia (Ö tul: to lift up; raise; to determine the weight of anything by lifting it up; da cui il lt. tollo ed anche bilancia ed in epoca arcaica, proprio perché basculanti sul perno della Polare, erano così designate le due Orse. Soltanto in tempi successivi il nome di Libra fu trasferito ad un asterismo zodiacale. Quelli stessi tempi in cui, il medesimo centro venne ad identificarsi con l’isola di Ogygia  posta nell’Atlantico settentrionale (cfr. FV, et infra note nn. 83, 132). Tra l’altro, si può così comprendere perché l’aspetto principale dell’ astrologia non abbia avuto niente a che vedere con le applicazioni divinatorie, oggi divenute ossessive, ma come essa fosse intimamente connessa con i principi che reggevano la geografia sacra.

[xxvii] Dalla metà del XV sec., essa non è più scrupolosamente osservata in Occidente, pertanto le chiese non sono necessariamente disposte secondo un asse equinoziale ma, nel mondo islamico, la qibla ossia la direzione della Mecca, è d’assoluto rigore anche nella preghiera individuale.

[xxviii] Ad es. quanto fanno i pellegrini intorno alla Kaaba

[xxix] Cfr. supra, n. 19

[xxx] Gn.1.4, 10, 12, 18, 21, 25 da HL

[xxxi] Ibidem

[xxxii] Il rif. delle citazioni è a MMW. Per quanto riguarda i caratteri di Asoka (-272 / -231), si tratta della geometrica scrittura brâhmî che ben si presta a questo tipo di composizioni; altro elemento interessante è la sua antichità. L’inizio del suo uso viene, infatti, collocato intorno al V sec. A.C. ma potrebbe risalire assai più indietro poiché è stata autorevolmente (A.Cunningham e Dowson) congetturata <<l’existence d’une vieille écriture indigène, ancêtre de la brâhmî>> (F, p.340)

[xxxiii] Parimenti, secondo le attribuzioni allo iota spetta il valore 10.

[xxxiv] RG.1, t.II, p.42

[xxxv] Attualmente, ci si limita al solo Jehowa (cfr. supra n. 21).

[xxxvi] È quello che si incontra in questo testo: risale al periodo del  Secondo Tempio. Prima dell’esilio ne veniva usato uno assai più elaborato ma che – da allora sino ad oggi - è rimasto appannaggio dei Samaritani.

[xxxvii] È appunto alle dieci Sephiroth che si allude quando in Bahir,§118, viene affermato:<<Il mondo fu creato per dieci parole>> è ciò perché nello yod c’è il germe d’ogni cosa.

[xxxviii] Par. XXVI, 134.

[xxxix] Îsh  +  vára (environing, enclosing) determina come una personalizzazione ed infatti  ne risulta che   Ishvará   è  the Supreme Being ovvero l’equivalente di  -Wa/Wsir/   per i quali, cfr. infra, punto 3.

[xl] La primordialità di questo segno è suggerita dall’essere pressoché ovunque, e non solo presso i romani, cifra dell’unità; il che ci richiama al concetto di subordinazione del Cosmo al suo Principio; universum: Unum versus [ire].

[xli] Cfr.S.

[xlii] RG.1, t.II, p.177

[xliii] Cfr. BdR

[xliv] Cfr. JH

[xlv]JH, p.173.

[xlvi] Ibidem, p.175.

[xlvii] Tolomeo III regnante: -246 / -221.

[xlviii] JH, p.170

[xlix] Es.32.

[l] Es.3.14.

[li] Metafisicamente L’Essere, pur appartenendo al Non-manifestato è all’origine della Manifestazione o Esistenza che dir si voglia, infatti: esistenza – exsistentia - sottende ex stare; quindi, propriamente, è da interpretare fuori dall’Essere, il quale, rispetto ad essa, è un Principio relativo. Il Principio Assoluto (è l’Ayn-Soph, il Deus Incognitus più sopra citato a proposito dell’Albero Sefirotico) - che si colloca al di là d’ogni determinazione non esclusa la prima (l’Unità) ovvero l’Essere stesso - corrisponde a ciò che potremmo chiamare Zero Metafisico. E Chi parla dal roveto ardente, secondo la formula più diffusa, Si nomina <<Io sono Colui Che è>> in realtà la forma ebraica ahyh ashr ahyh  è piuttosto un futuro: <<Io sarò Colui Che sarà>>. Nell’immediato l’espressione appare non del tutto trasparente ma se si tiene conto di quanto premesso e si consideri la successione cronologica - in rapporto al reale eterno presente del Soggetto - come una successione puramente logica, la frase può risultare così “tradotta”: <<Io, che, per mia propria condizione, sono al di là dell’Essere, mi manifesterò a te secondo quello stato>>. Il sottinteso motivo è: <<…per permettere il mio intervento nell’Esistenza come Legislatore.>>

[lii] Gs.24.26 da HL

[liii] Gen.12.6, 35.4, Dt.11.30, Gdc.9.6

[liv] Henry Wilson Coil, Coil's Masonic Encyclopedia, New York, Macoy Publishing and Masonic Supply, 1961, pp. 516-517; Malcom C. Duncan, Masonic Ritual and Monitor, New York, David Mckay Co., nd., p. 226; Dr. Ron Carlson, Fast Facts on False Teachings, Eugene, Oregon, Harvest House, 1994, p. 86.

[lv] Questa dizione è di particolare interesse perché, esaminata secondo la sillabazione qui messa in atto, si presenta con la precitata componente (1.) Yah-, e tutto il suo carico semantico, abbinata a -ti, che, nell’egizio, significa forno ed è precisamente il forno del vasaio, riprodotto del resto dalla grafica del corrispondente geroglifico t3 nella sua tipica struttura alta e biconica. Non a caso dunque, YâTzaR, sta per to form, to fashion, nella specifica accezione di Gen. 2.8 ovvero di quando si narra che Dio plasma l’uomo come fa un vasaio

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